Il biologico tra difficoltà e traguardi.
Intervista a Walter Amadori, Azienda Agricola Amadori Walter e Alessandro.
Signor Amadori, ci parli della sua azienda e dei suoi progetti futuri.
La nostra azienda opera nel campo del bio dal 2013. Abbiamo iniziato con una piccola porzione di terreno di circa 5 ettari, di cui uno coltivato esclusivamente a lavanda. Nel nostro appezzamento abbiamo operato seguendo i dettami dell’agricoltura biologica, nel rispetto della natura e del territorio, anche grazie alle condizioni climatiche che rendono la Maremma un territorio particolarmente vocato alla coltura biologica delle erbe officinali.
Oggi, dopo tanti sacrifici, la superficie coltivata in bio è di circa 30 ettari e ulteriori 12,6 ettari, in conversione, sono adibiti alla coltura di cereali e leguminose.
Quali prospettive o necessità l’hanno spinta a intraprendere la scelta del bio?
Ci siamo indirizzati verso l’agricoltura biologica perché più consapevole e virtuosa e, in secondo luogo, perché speravamo che tale scelta ci avrebbe premiato economicamente. Secondo noi, seguire le regole del bio offre la possibilità di ottenere davvero un tipo di coltivazione sostenibile.
All’inizio è stata dura, ma abbiamo intravisto nel lungo termine la possibilità di un ritorno economico per l’azienda. Infatti quest’anno, dopo tanto impegno e tanti sforzi, inizieremo finalmente a commercializzare anche cereali e leguminose bio.
Nella campagna agraria corrente abbiamo prodotto, su una superficie di 14 ettari, 430 quintali di grano duro bio; su 7 ettari, 40 quintali di ceci bio; su 7,5 ettari, 50 quintali di lenticchie bio, mentre la produzione di olio essenziale di lavanda è attestata a 12 chilogrammi. Cercavamo un tipo di agricoltura alternativo, volevamo intraprendere un’altra strada. L’agricoltura bio sicuramente preserva l’ambiente e, tramite l’applicazione dei suoi disciplinari, favorisce la sostenibilità locale e di conseguenza anche quella generale. È una scelta etica ed economica per produttori e consumatori, ma se è vero che si sta discutendo sull’introduzione dell’uso degli ogm anche in Italia, vediamo il suo futuro molto incerto, sebbene i dati di mercato e la richiesta da parte dei consumatori siano in costante crescita.
Quali sono invece le difficoltà che ha riscontrato?
Abbiamo avuto difficoltà da più punti di vista. In primis per la commercializzazione, in quanto troppo piccoli per avere adeguato potere contrattuale. Purtroppo in Maremma, e in Toscana in generale, non sono a conoscenza dell’esistenza di consorzi dedicati esclusivamente alla tutela e alla promozione del bio, essendo, quelli esistenti, piuttosto legati alle singole categorie merceologiche (vino, olio). In secondo luogo, è chiaro che aderire ai dettami del bio, abbastanza stringenti, è stato arduo.
Ma, pian piano è andata meglio, anche grazie all’aiuto di consulenze esterne e di associazioni di categoria. Quello che abbiamo notato, però, è la mancanza di un adeguato supporto da parte delle istituzioni politiche. Sono anni che non ho notizie di alcun bando PSR a sostegno dell’agricoltura bio, così come mancano aiuti fattivi da parte della comunità europea. Noi operatori del bio abbiamo dovuto fare un po’ da autodidatti, anche nel districarci tra le regole e sull’applicazione delle stesse.
Quali azioni suggerisce per agevolare chi produce bio?
C’è bisogno di maggior sostegno, sia a livello di consulenza, che di promozione e informazione. Le istituzioni potrebbero applicare agevolazioni e fare informazione presso il consumatore, che deve divenire consapevole della scelta di consumo bio, soprattutto per la salvaguardia dell’ambiente e del proprio benessere.
Intervista a cura di Bianca Maria Bove.