Ricasoli, le radici più antiche.
Intervista a Francesco Ricasoli, Presidente Barone Ricasoli.

La famiglia Ricasoli figura già tra i nobili dignitari feudali dell’Impero di Carlo Magno. All’inizio del XIII Secolo i rami della famiglia iniziano a moltiplicarsi, per poi riunirsi nuovamente tra il 1700 e il 1800.
Schierati con i loro eserciti a difesa di Firenze sin dal 1200, generazioni di nobili Ricasoli hanno tracciato il corso della storia sullo sfondo del Castello di Brolio: dalle eterne battaglie con Siena, fino all’Unità d’Italia.
Sarà Bettino Ricasoli, il “Barone di ferro”, a ricoprire la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri per due mandati nell’Italia Unita del dopo Cavour. La storia della famiglia Ricasoli è legata al vino sin dal 1141: testimonianze scritte, risalenti a quella data, attestano che il Castello di Brolio fosse già in possesso della famiglia. Dopo secoli impegnati nella difesa delle terre e delle signorie feudali, i Ricasoli si dedicarono per primi allo sviluppo dell’agricoltura e dei vigneti, intuendo il grande potenziale del territorio di Brolio, e l’albero genealogico della famiglia, riprodotto in una stampa del 1584, è una delle prime immagini del Chianti. Dalla fine del 1600, interessanti documenti riportano le prime esportazioni verso Amsterdam e l’Inghilterra, mentre agli inizi del ‘900 i vini di Brolio, oramai diffusi e apprezzati, sono richiesti ed esportati in tutto il mondo: dalla Cina all’Arabia Saudita, dal Sudafrica al Guatemala, dalla Costa Rica alle Afriche Britanniche dell’epoca. Ma è grazie al Barone Bettino Ricasoli (1809-1880), illustre politico e imprenditore vitivinicolo di grande lungimiranza, che nel 1872 nasce la formula del Chianti, l’attuale Chianti Classico.

Barone Ricasoli, lei è un discendente diretto di una delle famiglie più importanti della storia politica ed enologica del nostro Paese. Un suo antenato, il “Barone di Ferro”, Bettino Ricasoli, fu uno dei protagonisti dell’Unità d’Italia, Sindaco di Firenze e Presidente del Consiglio del neonato Regno d’Italia: ma fu anche un viticoltore attento e geniale, legatissimo al territorio e inventore della cosiddetta “formula del Chianti” che ancora oggi condiziona larga parte della viticoltura toscana. Come influisce questa grande eredità storica e culturale sul suo essere viticoltore oggi, nell’epoca della globalizzazione?

È proprio l’insegnamento del Barone di Ferro a indicare che, come lui a suo tempo, bisogna essere capaci di rendere contemporanee le tradizioni, e dunque saperle interpretare e modificare in maniera dinamica per poterle tenere vive, e l’odierno rinnovato focus sul sangiovese, come il Colledilà, il Roncicone e il CeniPrimo, è lì a dimostrarlo.

Con 240 ettari di vigneto destinato a Chianti Classico la “Barone Ricasoli” è l’azienda con la maggiore superficie vitata di tutta la denominazione. Inoltre, da anni sperimentate una “zonazione” interna che vi ha portato a produrre dei cru di grande livello, come il Colledilà. Considerato il ruolo di componente del C.d.A. del Consorzio e di Presidente dell’Associazione Viticoltori di Gaiole, ritiene che un progetto di zonazione dell’intera denominazione possa essere utile allo sviluppo e alla valorizzazione del Chianti Classico?

Consapevole delle grandi potenzialità espressive del nostro territorio, sono stato il primo a volere fortemente il progetto di zonazione dei terreni coltivati a vite nel Chianti Classico, con l’intento di approfondire la conoscenza delle peculiarità del patrimonio viticolo. Sarebbe auspicabile la zonazione di tutto il Chianti Classico, ma è qualcosa di molto complesso e complicato da realizzare. Per quanto riguarda la mia azienda, qui a Brolio, io ci ho creduto e ho portato avanti questo grande progetto: la ricerca è durata 3 anni ed è sfociata nella zonazione completa di tutta la proprietà.

Lo stile, l’eleganza e la raffinatezza possono far grande un vino e l’azienda che lo produce. Tuttavia, se si guarda al mercato con una prospettiva più ampia, è necessario considerare anche altri fattori, come la fiducia dei consumatori, il rispetto di standard qualitativi e le garanzie di sicurezza. Ciò premesso, a suo avviso quali sono gli elementi che influenzano il successo di una denominazione, in Italia e all’estero?

Il successo di una denominazione è determinato, innanzitutto, da uno stile che necessariamente contraddistingua il prodotto per la sua unicità e riconoscibilità.
Ma il prodotto deve essere comunicato da persone forti che sappiano trasmettere l’unicità e la qualità percepita. È necessario questo binomio per fare in modo che il mondo possa apprezzare e appassionarsi a determinate cifre stilistiche.

La “Barone Ricasoli” aderisce al Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata (SQNPI). Ritiene che la “sostenibilità” sia destinata a diventare un cardine dei modelli produttivi del futuro? In che modo condizionerà le aziende e il mercato?

Certamente la sostenibilità avrà sempre di più un ruolo determinante nei processi di produzione, perché sostenibilità vuol dire anche restituire alla natura anziché soltanto prelevare, come d’abitudine è stato fatto troppo a lungo sul nostro pianeta.
I miei terreni si trovano in uno dei posti più incontaminati e puri della Toscana: nel corso dei secoli, un territorio pressoché inaccessibile, a causa della presenza di pietraie e boschi fitti e compatti, è diventato vivibile e in armonia con la natura, grazie agli interventi dei molti che hanno compreso l’importanza di agire rispettando la bellezza e gli equilibri.
In tale contesto, non è stato difficile per me scegliere di praticare una viticoltura amica della natura: non siamo biologici, ma preferiamo andare oltre e utilizzare tecniche agronomiche a basso impatto ambientale.
Le ricerche effettuate negli anni, assieme alle tecnologie applicate, ci hanno permesso di rispettare pienamente il territorio e di produrre vini del territorio di qualità.  Per tutti questi motivi, interpretiamo e mettiamo in pratica il concetto di sostenibilità a tutto tondo e lo consideriamo il nostro grande punto d’orgoglio.

Intervista a cura di Bianca Maria Bove