AVITO, obiettivi e prospettive della viticoltura toscana.

AVITO, l’Associazione Vini Toscana DOP e IGP, è nata il 9 marzo 2016, al termine di un proficuo periodo di comune attività tra i Consorzi di Tutela della Regione.

Per chi non vive, o non abbia vissuto la Toscana del vino, dei Consorzi e dei territori, è difficile comprendere fino in fondo il valore di questo atto. Perché la nostra è una regione abituata ad alimentare una forte concorrenza interna, a esprimersi nelle differenze piuttosto che nei fattori collettivi. Che la si definisca in positivo come “identità”, o in negativo come “campanile”, il risultato non cambia: la difficoltà nel trovare un piano di collaborazione tra le varie anime della viticultura toscana è sempre stato uno dei suoi limiti più evidenti.

Ancor di più se si pensa che oggi molti dei problemi hanno una matrice comune, e di conseguenza vanno affrontati con un’ottica di sistema. Parallelamente, i nostri interlocutori istituzionali hanno, il più delle volte, una collocazione regionale se non nazionale, e rispondono soltanto se le sollecitazioni riescono ad acquisire una valenza generale.

È uno schema di ragionamento semplice e quasi scontato, ma le eredità culturali creano spesso ostacoli non meno seri di quelli materiali.

Eppure, anche in campo associativo la Toscana vanta un indubbio primato: il più antico Consorzio vitivinicolo italiano è quello del Chianti Classico, costituito nel 1924, quasi un secolo fa, seguito nel 1927 dal Consorzio Vino Chianti. Nei decenni successivi tutte le principali zone vinicole toscane si sono dotate di strutture consortili, a partire dal Nobile di Montepulciano nel 1965, dal Brunello nel 1967, dalla Vernaccia di San Gimignano nel 1972, fino ai più recenti Bolgheri, Morellino, Maremma, Val d’Arno, Montecucco, Val d’Orcia…

Con gli anni alcuni hanno acquisito una rilevanza nazionale e internazionale, ma molto raramente le loro attività si sono spinte fino a coprire gli interessi generali della categoria.

La costituzione di AVITO ha così assunto anche una valenza simbolica, perché supera barriere storiche e culturali prim’ancora che materiali.

Le sue funzioni sono essenzialmente di rappresentanza politica – o, come si direbbe oggi, di lobbying – con il compito di promuovere politiche ed interventi riferibili ai soli interessi generali dei viticultori; in altre parole, che affrontino i problemi comuni a ogni impresa e ogni denominazione della Regione. Un terreno d’intesa che ha trovato il consenso di tutti i Consorzi, questa volta senza distinzioni di sorta.

Considerati nel loro insieme, gli obiettivi di AVITO per il medio e lungo periodo sono, da un lato, finalizzati a migliorare le condizioni operative di aziende e denominazioni, dall’altro a rafforzare il valore complessivo dell’offerta regionale.

Quattro sono le direttrici in cui intendiamo muoverci e sulle quali vogliamo e dobbiamo trovare la collaborazione delle istituzioni, soprattutto di livello regionale.

La prima riguarda la ricerca in ambito vitivinicolo, con l’obiettivo di studiare cloni di sangiovese – e degli altri vitigni impiantati in toscana – più resistenti al cambiamento climatico ed alle malattie della vite. L’importanza di questo obiettivo è evidente, perché già oggi il riscaldamento globale incide sulla qualità e sulla quantità dei nostri prodotti. A parità di condizioni, nel prossimo futuro l’incidenza sarà ancora maggiore, con ripercussioni inevitabili sulla tenuta delle nostre quote di mercato, sui bilanci delle imprese e sui livelli occupazionali. La ricerca è la sola strada che possiamo percorrere, anche se per sua natura necessita di continuità temporale e della convinta partecipazione di una molteplicità di soggetti, Istituzioni e Università soprattutto, con ritorni che si misurano nell’arco dei decenni.

La seconda riguarda le risorse idriche. Anche in questo caso la loro importanza strategica è destinata a crescere man mano che il riscaldamento globale farà sentire i suoi effetti. Non credo sia necessario insistere su questo elemento perché i fenomeni di carenza idrica sono diventati una costante delle nostre stagioni estive, e sono anch’esse destinate ad aggravarsi e ad incidere negativamente sulla viticultura toscana. È quanto mai necessario ripristinare il reticolo regionale degli invasi anche stimolando gli investimenti privati, ma alla sua base dev’esserci una profonda revisione della normativa vigente.

Mantenendo inalterati i livelli di sicurezza, sarebbe comunque opportuno aumentare la soglia dimensionale dei cosiddetti “piccoli invasi”, passandoli da 5.000 ad almeno 20.000 metri cubi, perché in tal modo si ridurrebbero considerevolmente gli oneri burocratici ed economici a carico delle imprese.

La terza linea riguarda il rilancio del “Brand Toscana” ed il rafforzamento dell’offerta enoturistica. Nonostante la Toscana sia una delle mete predilette degli enoturisti di tutto il mondo, alcune sue carenze sono molto evidenti. In primo luogo, sono anni che la Toscana non investe sufficientemente sulla sua immagine e non si promuove in modo efficace, lasciando spazio ai concorrenti. Nel mondo contemporaneo non si vive di sole glorie del passato: oggi anche i marchi più forti e stabili devono continuamente ravvivare immagine e allure, perché viceversa si rischia di uscire dal cono di attenzione ed essere relegati nelle seconde linee. In secondo luogo, è sempre più evidente l’importanza di accrescere la qualità dell’offerta turistica ed enoturistica utilizzando un approccio sistematico, omogeneo, con politiche e interventi convergenti.

Faccio solo un paio di esempi di ciò che oggi, al contrario, non è convergente. Il primo è relativo alla formazione di base degli Istituti Alberghieri e Turistici regionali, che relativamente al prodotto vino hanno standard formativi molto al di sotto delle necessità. Migliorare la qualità della formazione significa migliorare la qualità dell’offerta generale, che in alcune aree della regione appare molto al di sotto di un livello accettabile, soprattutto nella ristorazione.

Il secondo riguarda la segnaletica turistica, resa disomogenea in alcune province da una interpretazione della normativa come minimo capziosa. Il caso della Provincia di Siena è emblematico, perché questa impone alle imprese disposizioni punitive assenti nelle altre province toscane, nonostante anni di sollecitazioni e reiterate promesse di soluzione.

Infine, la quarta linea è rappresentata dagli ungulati. Un problema diventato sempre più grande con il passare degli anni e reso ancor più delicato dal fatto che tocca interessi contrastanti: agricoltori da un lato e cacciatori dall’altro.

Devo dare atto che la Regione Toscana si è mossa anche sul piano normativo – nonostante una legge nazionale sovraordinata oramai del tutto inadeguata – ma i risultati sono deludenti. Il problema persiste e si aggrava, generando scontento, danni e un senso di frustrazione che sarà difficile attenuare. Sono consapevole che non esista una soluzione facile e indolore, ma forse una strada andrebbe cercata facendo convergere, anche solo parzialmente, gli interessi delle parti, e la Regione non può che esserne l’interprete. Oggi gli agricoltori si sentono espropriati di diritti e di risorse, pagano i benefici (ludici) di altri e non si sentono tutelati nei propri interessi fondamentali. Una situazione che da tempo è andata oltre il livello di sopportazione.

La Politica e l’Amministrazione devono trovare meccanismi di tutela efficaci, che consentano la convivenza riducendo al minimo le occasioni di conflitto. Gli agricoltori devono poter difendere il perimetro delle produzioni con interventi tempestivi ed una burocrazia semplificata, mentre ai cacciatori dovrebbe essere sufficiente poter disporre dei boschi come già oggi avviene. La selvaggina dev’essere trattata come una risorsa pulita, sana, sostenibile in tutti i sensi; può innescare meccanismi virtuosi di economia circolare. È compito della Regione trovare la soluzione più efficace, ma la semplificazione degli iter e delle procedure autorizzative sarebbe già un ottimo inizio.

Problemi di tale ampiezza e complessità non possono che essere affrontati con un’ottica unitaria e avendo come interlocutori le Istituzioni ai massimi livelli.

L’importanza del ruolo di AVITO si deduce da queste considerazioni, ma gli obiettivi si ottengono solo se si riesce a coinvolgere fattivamente le Istituzioni.

Francesco Mazzei
Presidente AVITO