Vino e Turismo in Toscana: una sinergia vincente.

La Toscana ha fatto da incubatore al turismo del vino in Italia, ne ha intuito le potenzialità e le ha trasformate in opportunità. Ancora oggi, a trent’anni dai suoi albori, il ciclo non si è affatto esaurito e mostra ancora un notevole potenziale di crescita. Le ragioni di questo legame sono allo stesso tempo semplici quanto profonde: negli ultimi trent’anni vino e turismo hanno modificato il tradizionale profilo culturale, assumendo entrambi un carattere esperienziale nell’immaginario dei cosiddetti consumatori evoluti, oggi accomunati dalla ricerca di sensazioni originali, “tipiche”, uniche. In realtà, si tratta una trasformazione che ha ricalcato l’evoluzione generale degli stili di vita e di consumo che ha interessato buona parte delle società occidentali.
La capacità evocativa della Toscana – che rimanda al Rinascimento, all’arte, all’architettura, al paesaggio, in quanto beni indiscussi del patrimonio culturale europeo – unita alla storica notorietà dei suoi vini come Chianti, Brunello, Nobile etc, ha rappresentato la piattaforma naturale su cui questo rapporto, in forte anticipo sui tempi, si è costruito e consolidato. Infine, da un lato le imprese hanno saputo cogliere le tendenze predisponendo progressivamente un’offerta adeguata, dall’altro le istituzioni ne hanno definito la cornice giuridica, anche questa in anticipo sui provvedimenti nazionali.
A questo riguardo, fornisco solo alcuni esempi: la prima manifestazione di “Cantine Aperte” si svolse il 9 maggio 1993 e vide la partecipazione simultanea di cento aziende vitivinicole toscane.
Tuttora la Toscana primeggia nell’offerta enoturistica con un portafoglio diversificato e molto ben organizzato di cantine che dispongono di punti vendita, sale di degustazione, winery tours e personale formato. La delegazione toscana del Movimento Turismo del Vino è tuttora la più grande e attiva fra le associazioni regionali.
Inoltre, sul piano politico-amministrativo la Regione Toscana ha anticipato la normativa nazionale, inserendo l’attività di accoglienza in azienda all’interno della legge quadro sull’agriturismo, dando così una spinta decisiva allo sviluppo del settore. Anche la prima legge sulle Strade del Vino del 1999 ha avuto come primo firmatario il toscano Flavio Tattarini, e le Città del Vino, associazione che coordina le municipalità dei distretti vitivinicoli, è nata nel 1987 a Siena dove ha ancora la sua sede nazionale.
Per capire fino in fondo il valore sistemico ed economico della normativa adottata dalla Regione Toscana, dobbiamo pensare che a seguito dell’abolizione del Ministero del Turismo, stabilita dal referendum del 1993, la materia è stata delegata alle Regioni, e tale circostanza ha determinato grandi differenze nella possibilità di sviluppare l’enoturismo nei diversi distretti. In Veneto o in Lombardia, ad esempio, fino all’approvazione dell’emendamento alla Finanziaria 2018 promosso dal Senatore Dario Stefano e del successivo Decreto Ministeriale 2019 di Gianmarco Centinaio, le cantine avevano enormi limitazioni nella commercializzazione di servizi turistici remunerabili.
Oggi, però, la situazione sembra aver superato lo stato pionieristico e l’enoturismo è diventata una delle tipologie della domanda turistica in maggiore espansione, con tassi a doppia cifra. Roberta Garibaldi, nel “2° Rapporto sul Turismo Enogastronomico in Italia” ha stimato una crescita del 21% nel 2016, del 30% nel 2017 e del 48% nel 2018. Il giro d’affari enoturistico italiano complessivo è valutato in 2,5-3 miliardi di Euro, un quarto dei quali realizzato in Toscana. I dati dimostrano che nella nostra Regione si concentra la maggior frequenza di wine lovers e la maggior presenza di nord americani, cioè del target turistico a più elevata capacità di spesa tra tutti quelli che frequentano il nostro Paese: un risultato dovuto in buona misura ad un’offerta capillare e di buon livello qualitativo.

Turismo del vino, forse troppo?
Tuttavia questo successo, anzi l’eccesso di successo, comporta controindicazioni negative, talvolta anche critiche. Il turismo crea opportunità, ma la sua sovrabbondanza innesca il degrado delle località verso cui si dirige, con un comportamento quasi cannibalico che prima le omologa, poi le consuma ed infine, le abbandona.
Il ciclo di vita delle cosiddette wine destination è legato alla fama del vino, ma anche alla capacità di conservare la propria identità distintiva. Come per tutte le altre destination, il suo ciclo di vita si sviluppa in quattro fasi: attrazione, conflitto, colonizzazione e declino. Il ciclo si esaurisce più velocemente se il rapporto tra visitatori e residenti è elevato, se il loro reddito è molto superiore a quello degli abitanti e se la stagione turistica è lunga. Le wine destination italiane evidenziano tutte questi elementi di rischio, per questo è molto importante attuare un’attenta politica di gestione dei flussi e di tutela del territorio.
Per capire la situazione del turismo del vino in Toscana conviene partire dai dati presentati da Nomisma – Wine Monitor nel 2018. In base alle stime di Denis Pantini, gli arrivi nei territori del vino italiani sono cresciuti mediamente del 25% fra il 2010 e il 2016, ma in alcune zone l’incremento è stato decisamente superiore alla media: Montalcino + 125%, Barolo + 64%, Valpolicella + 54% e Chianti Classico + 35%.
I 15 milioni di visitatori che bussano alle porte delle cantine italiane si concentrano soprattutto sulle denominazioni più note e importanti, tra cui quelle toscane fanno la parte del leone, come provano gli ottimi posizionamenti delle sue denominazioni in tutte le più importanti classifiche degli ultimi vent’anni.
Per Trip Advisor le regioni italiane con il numero più elevato di prenotazioni enoturistiche sono, nell’ordine, Toscana, Lazio e Veneto. Fra i Google trends del turismo enogastronomico, il più consistente è l’accoppiata Firenze-Toscana. Ancora: il 62% dei cataloghi 2018 dei tour operator propone viaggi enogastronomici, e le destinazioni più rappresentate sono in Toscana e Piemonte.
Il successo dell’enoturismo, come ho già accennato, ha contribuito a diversificare e arricchire l’offerta, moltiplicando tanto i servizi delle imprese vitivinicole, quanto quelli a latere. Tra questi ultimi, ad esempio, vi sono i servizi di trasporto: la visita in cantina di gruppi organizzati avviene, di norma, per mezzo di autobus da 40-50 posti, oppure, per numeri molto più ridotti, in auto con conducente o minivan. Queste ultime sono proposte da piccole società di incoming proliferate enormemente in Toscana prima che in ogni altra parte d’Italia; società che si commercializzano quasi solo on line e offrono pacchetti standard della durata di circa sette ore, comprendenti due cantine, un pasto tipico e la visita a un artigiano, oppure esperienze particolari come la ricerca del tartufo.
Tra i nuovi servizi, forse il più rilevante, in termini economici, è l’offerta di wedding location in cantina. Il business dei matrimoni stranieri in Italia sfiora il mezzo miliardo di euro l’anno e la Toscana rastrella un terzo di questo giro d’affari, ponendosi come destinazione leader delle nozze romantiche, con 500.000 presenze turistiche e 160 milioni di giro d’affari per 2.700 coppie che spendono, tra festa e soggiorno degli invitati, una media di 59.000 euro per evento.
Infine, sulla scia del successo registrato, devo citare il fenomeno dei “Wine Resort”. Dopo che alcune cantine del Barolo, come Ceretto e Chiarlo, hanno realizzato lussuose residenze con ristoranti stellati, anche in Toscana molte aziende hanno aperto wine resort capaci di ospitare importatori e clienti top, con l’obiettivo di intercettare la clientela “high spending”, soprattutto straniera, a cui poi vendere vini premium. Investimenti capaci di innalzare il target turistico offrendo servizi paragonabili, per qualità, ai più ricchi e nuovi distretti del vino, la California tra tutti.
Tuttavia, se osserviamo il fenomeno in una prospettiva di lungo periodo, assieme a questi elementi indubbiamente positivi ce ne sono alcuni altrettanto preoccupanti. Se consideriamo gli andamenti statistici compresi tra il 1998 e il 2008, e poi quelli del decennio successivo, ci accorgiamo infatti che le presenze turistiche sono cresciute nel primo periodo del 26,2% e nel secondo del 16,1%, mentre il numero dei posti letto aumentava, negli stessi periodi, del 42,5% e del 12,6%. L’effetto di questa crescita eccedentaria dell’offerta rispetto alla domanda si è tradotto nel tendenziale decremento degli indici di occupazione dei posti letto. In Val d’Orcia, per esempio, area di cui fa parte Montalcino, in vent’anni l’incremento della ricettività agrituristica ed extralberghiera ha superato il 200%, ed oggi abbiamo un posto letto turistico ogni due abitanti, a fronte di un tasso di occupazione del posto letto tendenzialmente declinante. Secondo l’IRPET, centro studi della Regione Toscana, l’indice di occupazione medio delle strutture agrituristiche è sceso al 15,7%, mentre per le strutture extralberghiere si è attestato al 20,6%.
Sul piano economico ciò si traduce in un’inevitabile difficoltà a remunerare gli investimenti, considerando che il costo per metro quadro delle strutture ricettive ha superato i 3.000 euro e che i ricavi medi, visto l’eccesso di offerta, non crescono più con il ritmo degli anni passati. Ciò considerato, c’è da aspettarsi che, dopo qualche anno di bilanci in rosso, una parte delle strutture meno solide sul piano economico venga messa in vendita, trascinando in basso tutti i valori immobiliari.
In conclusione, per i territori rurali il binomio vino-turismo costituisce un eccezionale moltiplicatore di crescita economica, ma l’esperienza degli ultimi 20 anni dimostra la necessità di introdurre strumenti di regolazione che ne impediscano il rapido esaurimento e lo rendano “sostenibile” sul lungo periodo. Due sono, a mio avviso, gli aspetti fondamentali della regolazione: in primo luogo è necessario evitare che si realizzi un’offerta eccessiva di posti letto, così da mantenere costante la redditività degli investimenti; in secondo luogo è necessario un efficace “governo” dell’immagine della denominazione e del territorio, così da evitarne il depauperamento. Un compito non facile ma necessario, sul quale istituzioni e mondo del vino dovrebbero elaborare e proporre soluzioni efficaci e convincenti.

Donatella Cinelli Colombini
Presidente Nazionale delle Donne del Vino