Dalle ombre alle certezze. La viticultura toscana dall’introduzione della certificazione delle Denominazioni di Origine.
Giuseppe Liberatore, Direttore Generale Valoritalia
Sono stato Direttore Generale del Consorzio di Tutela del Chianti Classico per 25 anni e Vicepresidente di Federdoc per circa 17; da queste posizioni ho potuto osservare, ed in qualche misura ne sono anche stato protagonista, la grande trasformazione della viticultura italiana. Col tempo ci siamo abituati a considerare “normali” i successi dei nostri vini; consideriamo “normale” che le classifiche internazionali premino un crescente numero di etichette italiane, e ci siamo oramai abituati a vedere vini italiani nei ristoranti e sugli “scaffali” di tutto il mondo. Solo in termini economici la nostra viticultura è ancora dietro quella francese – ma la distanza si è enormemente ridotta – mentre la posizione di netto predominio qualitativo, di cui quest’ultima godeva un paio di decenni fa, sembra oggi un lontano ricordo.
È stata un’affermazione progressiva, che ha interessato tutti i mercati più importanti e tutte le fasce di prezzo, anche se un fondamentale ruolo di traino l’hanno avuto le denominazioni di punta della nostra viticultura. E tra queste, senza alcun dubbio, vi sono molte denominazioni toscane.
Ad iniziare da quelle storiche come Chianti, Chianti Classico, Brunello, Nobile di Montepulciano e Vernaccia che hanno guidato la prima fase di espansione, perché già possedevano notorietà internazionale, storia secolare e aziende radicate sui mercati di mezzo mondo; alle prime sono seguite le altre denominazioni della regione: Bolgheri, Morellino, Maremma, Montecucco, ecc…, che nell’insieme hanno costruito una sorta di “sistema” con una forte identità territoriale. Con gli anni “Toscana” è diventato il brand regionale italiano più importante, che per notorietà si posiziona agli stessi livelli di altri grandi brand internazionali, come Borgogna, Bordeaux, Napa. Per una serie di ragioni l’affermazione della viticultura toscana ha anticipato quella delle altre regioni. Come sostiene Massimo Castellani in un articolo di questo Magazine, il successo dei vini toscani è chiaramente dovuto alla convergenza di più fattori: alcuni fanno riferimento alle specificità dei terroir e alla predominanza del Sangiovese, che ne restituisce l’originalità; altri sono di matrice economico-aziendale, e derivano dalla capacità delle imprese di investire in progetti a lungo termine e dotarsi di personale qualificato e motivato. Due dimensioni che nel tempo sono state recepite positivamente dal mercato e dai consumatori, che hanno infine apprezzato quei prodotti all’apparenza spigolosi ma di grande fascino. I vini toscani non sono facili, ma hanno personalità e vitalità, non annoiano mai e sotto la ruvida apparenza nascondono grande eleganza.
Nondimeno il successo non deve farci perdere il senso della storia. Non possiamo trascurare il fatto che si è trattato di un processo tutt’altro che lineare, il cui risultato si è giocato, per molti versi, prim’ancora che sui mercati all’interno del nostro sistema produttivo: basti ricordare gli importanti progetti di ricerca (primo tra tutti Chianti Classico 2000) che hanno caratterizzato la selezione di nuovi cloni di Sangiovese, rappresentando una solida piattaforma sulla quale si è innestato tutto il processo di reimpianto dei vigneti toscani.
Credo inoltre che un altro fattore decisivo che ha consentito al nostro sistema di acquisire finalmente un ruolo da protagonista, consista nella scelta di rendere trasparente il mercato, di “modernizzarlo”, introducendo meccanismi di verifica sistematici e continuativi che riguardassero tutti gli utilizzatori delle denominazioni. Verifiche che avrebbero dovuto innanzitutto tutelare le stesse aziende da comportamenti non corretti, impedendo l’uso improprio, e talvolta fraudolento, di quei valori collettivi rappresentati dalle denominazioni. Non dobbiamo dimenticare che nel 1986 lo scandalo del metanolo ridusse in frantumi la credibilità di tutto il vino italiano, anche se le colpe accertate riguardavano solo un ristrettissimo numero di aziende. Ma i suoi riflessi furono enormi, la nostra immagine ne uscì distrutta e fu necessario ricostruire un rapporto di fiducia con i consumatori facendo leva su meccanismi razionali, concreti e operativi.
Regole chiare, meccanismi trasparenti e controllo puntuale: queste sono state le linee guida di un percorso decisionale che in poco più di un decennio ha trasformato completamente le basi giuridiche della viticultura italiana e lo stesso modo di agire delle imprese. Un percorso che ha visto come principali protagonisti da un lato i Consorzi di Tutela e Federdoc, la loro federazione, dall’altro l’Istituzione, intesa nella sua dimensione più ampia, che ha tradotto in norme una richiesta di chiarezza che veniva da imprese e consumatori.
Nella mia esperienza al Chianti Classico, posso testimoniare che le maggiori pressioni per adottare un sistema omogeneo di controlli – a cominciare da quelli fondamentali in vigneto su fallanze e base ampelografica – sono state promosse da quegli associati determinati a produrre vini di qualità. Imprenditori consapevoli che un sistema sano fornisce garanzie a tutti, ai consumatori come agli operatori e alle stesse imprese; consapevoli della necessità di porre tutti gli operatori sullo stesso piano, eliminando furbizie e scorciatoie; consapevoli che un mercato “opaco” rappresenti un danno per tutti ed un vantaggio per pochi.
L’intuizione fondamentale fu di credere che l’osservanza coattiva delle regole avrebbe posto tutte le aziende nelle stesse condizioni, spostando la competizione sul piano che è proprio delle imprese, ossia sulla qualità dei prodotti, sui costi, sui prezzi, sugli investimenti, ecc… Non fu affatto un dibattito indolore e tantomeno dagli esiti scontati, perché passare da un controllo saltuario, più che altro operato dalle Istituzioni, ad un sistema organico di verifiche, ha significato soprattutto imporre un salto culturale, oltre che tecnico. Non a caso le protagoniste di questo passaggio sono state quelle imprese che potevano contare su un know how più elevato, meglio organizzate e con chiari obiettivi a medio e lungo termine.
I Consorzi toscani furono pionieri nell’applicare il nuovo corso: nel 2004 quello del Chianti Classico – a cui progressivamente si aggiunsero molti altri Consorzi italiani – fu il primo Consorzio a essere autorizzato ad applicare un “piano dei controlli” per la verifica dei requisiti previsti dal disciplinare. Il fulcro concettuale di quel “piano” consisteva nel garantire la tracciabilità e il controllo di ogni partita di prodotto, dal campo alla bottiglia, e tale impostazione è rimasta, nella sostanza, valida fino ai giorni nostri.
I Consorzi hanno avviato un processo innovativo, il cui principio guida è stato poi confermato da un Regolamento Comunitario e da una legge dello Stato. Il passaggio delle funzioni di controllo dai Consorzi a soggetti terzi – gli Enti di Certificazione – è sembrato rappresentare l’inevitabile conclusione di un percorso di adeguamento del comparto vitivinicolo a quello di più maturi settori economici. Si è affermato il principio di indipendenza tra controllati e controllori, ma ancor di più si è affermato il diritto dei consumatori a ottenere la totale garanzia che ciò che si consuma corrisponde a ciò che si dichiara di produrre. Princìpi di modernità e, soprattutto, di civiltà.
Guardando alle nostre spalle non possiamo che constatare che in meno di trent’anni il mondo del vino si è completamente trasformato, convertendo un pesantissimo scandalo in una grande opportunità. È senza dubbio vero che i suoi maggiori interpreti sono state le imprese, che hanno sostenuto in modo deciso un sistema di regole e garanzie che, in pochi anni, sono diventate un esempio la cui validità è riconosciuta in tutto il mondo. Oggi la viticultura italiana appare, nel suo complesso, trasparente, solida, ben strutturata, qualitativamente all’avanguardia: un esempio di come la volontà sia capace di superare difficoltà che sembrano insormontabili, oltre che pregiudizi e atteggiamenti consolidati dall’abitudine.