Il brachetto, vitigno rosso dolce simbolo del Piemonte, è stato e sarà sempre una risorsa importante per tutta la regione e per il sistema vitivinicolo italiano. Il Brachetto è un simbolo del made in Italy, una Denominazione unica nel suo genere che ha dato molto per lo sviluppo di un territorio e di un paesaggio vitivinicolo che oggi è, in parte, tutelato dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.
Fino agli Anni Ottanta/Novanta l’uva brachetto ha rappresentato uno strumento di rilancio delle colline e delle comunità che vivevano tra il Sud Astigiano e l’Acquese, nel circondario segnato da quei sedici paesi dove si può, secondo il disciplinare, coltivare i grappoli, e da cui si ottiene il Brachetto d’Acqui Docg dolce nelle due versioni di punta: lo spumante e il “tappo raso” con il DOC che rappresenta la base consistente per allargare le occasioni di mercato. Poi qualcosa cambiò.
Alcuni anni fa i mercati che modificano il gusto dei consumatori, la crisi economica planetaria, la chiusura di alcune aree commerciali e i conflitti globali diedero colpi notevoli al sistema vino Italia. La filiera del brachetto fu quella che ne risentì di più. Fu come se il brachetto fosse un debuttante di successo, ma sempre sottoposto a verifiche, esami, sfide.
Si corse ai ripari, ma non bastò e si arrivò a erodere, attraverso la diminuzione delle rese per ettaro dell’uva, il reddito stesso dei vignaioli: una dura lezione di cui ancora oggi sentiamo gli effetti negativi.
Grazie a un duro lavoro, tuttavia, il comparto del Brachetto da qualche anno fornisce segnali, se non di ripresa piena, almeno di non arretramento. E in un settore come quello vitivinicolo non è poco.
Proprio sulla base di questi segnali lo scorso anno il Consorzio di Tutela ha lanciato un importantissimo progetto: la modifica del disciplinare per la produzione di una versione non dolce del Brachetto. Una sfida che parte da lontano quando, già nell’800, il brachetto era vinificato sia dolce che secco. Lo scopo del nuovo vino, dichiarato sin da subito, è di posizionarsi in un segmento, quello delle bollicine secche, che presenta attori protagonisti di tutto rispetto sia in Italia sia all’estero. La Denominazione Brachetto, tuttavia, ha nel proprio arco frecce interessanti: un’uva autoctona a DOCG da vinificare in purezza, senza tagli, un vitigno aromatico a bacca rossa che è un unicum nel panorama ampelografico mondiale e la possibilità, da questa base, di ottenere un vino spumante naturalmente rosè. Così, dopo un iter burocratico-tecnico non facile, durato oltre un anno, a febbraio del 2018 ha debuttato ufficialmente l’Acqui docg Rosé. Ed è stato subito un successo. Il colore rosato, il perlage persistente, il profumo e il sapore aromatici e mai stucchevoli, che derivano direttamente dal vino “fratello” dolce, ne hanno decretato un immediato successo di critica e pubblico. Ma molto c’è ancora da fare: è forte la convinzione che l’Acqui DOCG Rosé sia il campione destinato a rinverdire le glorie del Brachetto. Il Consorzio sta lavorando per consentirne l’imbottigliamento anche fuori dalla zona di produzione. Sarà un’opportunità per tutti.
Il Brachetto d’Acqui dolce resta comunque la missione principale. Ogni comunicazione istituzionale del Consorzio, infatti, mira a promuovere entrambe le tipologie, il Brachetto, naturalmente dolce, e l’Acqui DOCG Rosé naturalmente secco, originate da un unico grande vitigno piemontese: il brachetto.
Paolo Ricagno
Presidente Consorzio del Brachetto
e dei vini d’Acqui