di FRANCESCO LIANTONIO, PRESIDENTE Valoritalia
Abbiamo dedicato questo numero del nostro Magazine, l’ultimo del 2018, al mondo degli spumanti italiani certificati da Valoritalia. Lo abbiamo fatto per due principali ragioni: in primo luogo perché esso rappresenta, senza ombra di dubbio e oggi più che mai, il principale asset di cui dispone la viticultura italiana, tanto in termini produttivi quanto economici; in secondo luogo (ma non per ordine di importanza), in quanto espressione di una grande risorsa nazionale: la diversità e la ricchezza dei differenti terroir, capaci di fornire al tempo stesso prodotti di elevata qualità e dotati di una spiccata identità. Caratteri, questi ultimi, che sembrano adattarsi pienamente a un mercato che diventa di giorno in giorno più instabile e meno scontato, nel quale le certezze durano poche stagioni e in cui operatori della comunicazione, addetti ai lavori e consumatori sono alla continua ricerca di novità da “scoprire”, divulgare e premiare.
Ma per l’Italia e noi italiani la “diversità” sembra far parte del patrimonio genetico, una componente costitutiva del nostro temperamento e dei nostri territori. Un viticultore italiano, a prescindere dalla cultura regionale in cui è cresciuto e si è formato, potrà al massimo ammettere di essersi ispirato all’esperienza di altri, ma in ogni caso cercherà sempre di ottenere qualcosa di assolutamente peculiare, che rispecchi la propria personalità oltre che quella del luogo fisico nel quale produce.
Questo ci porta alla terza ragione del successo dei vini italiani, la più importante: la qualità delle nostre imprese, che hanno fatto di originalità e ricerca di nuovi spazi, un veicolo di affermazione e crescita. A riprova basti guardare le 12 denominazioni che presentiamo in queste pagine: alcune grandi e grandissime, come l’Asti, il Franciacorta, il Valdobbiadene Prosecco, il Prosecco DOC, l’Asolo Prosecco e l’Oltrepò Pavese; altre piccole e piccolissime, come l’Alta Langa, il Brachetto d’Acqui, il Vernaccia di Serrapetrona, il Fior d’Arancio dei Colli Euganei, il Malvasia di Casorzo e il Malvasia di Castelnuovo Don Bosco. Tutte accomunate, grandi e piccole, da una spiccata personalità e da una vivacità imprenditoriale che le rende non solo competitive, ma anche punto di riferimento per i rispettivi territori e oltre. Un insieme di prodotti variegati, in maggioranza bianchi, ma anche rossi e rosati, in grado di interpretare in modo originale terreni e filosofie aziendali, anche quando parte di denominazioni molto grandi.
Si tratta di 12 denominazioni costituite, nel complesso, da oltre 22.000 imprese e decine di migliaia di addetti, con un fatturato complessivo di quasi 3 miliardi di euro, oltre la metà del quale realizzato grazie all’export. Sono numeri che fanno impressione; numeri che con evidenza mostrano quale ruolo abbia oramai assunto la viticultura di qualità nell’economia locale e nazionale. Inoltre, la loro capillare presenza in tutti i mercati del mondo li trasforma in un canale ideale per tutto il Made in Italy, aggiungendo valore a valore, notorietà a notorietà.
Sono i veri gioielli della viticultura italiana. Gioielli che dobbiamo tutelare e valorizzare, che dobbiamo assumere a modello virtuoso e dei quali dobbiamo essere orgogliosi, come produttori e come italiani.