Il nuovo regolamento europeo sull’agricoltura biologica: in quattro anni di negoziazioni si poteva fare di più. E di meglio.

Come sovente accade e continua ad accadere, al biologico tocca la parte del precursore, dello sperimentatore ma, detto in altro modo e differentemente interpretato, della “cavia”. Così è stato anche per una revisione normativa che si è incrociata con le nuove procedure previste dal Trattato di Lisbona, quelle che prevedono i triloghi (le trattative congiunte tra rappresentanti delle tre Istituzioni europee: Commissione, Parlamento e Consiglio).
Non solo, a causa di nuove procedure, l’iter della revisione è stato travagliato, lungo e nel complesso insoddisfacente. Hanno infatti giocato un ruolo determinante le posizioni opposte espresse dagli Stati membri e da alcuni portatori d’interesse di peso, in primis quella parte miope dell’industria alimentare che ce la sta mettendo tutta per cannibalizzare uno dei pochi settori sani e promettenti del mercato agro-alimentare europeo.

PERCHÉ UNA REVISIONE?

Forse sono in pochi a ricordare perché, a pochi anni dall’entrata in vigore del secondo regolamento quadro del biologico europeo (il Reg. CE 834/07 che ha preso il posto dell’originale Reg. CE 2092/91), si è presa la decisione di una nuova revisione. I motivi della Commissione erano da un lato la valutazione d’impatto sulla normativa europea e, dall’altro, i risultati della consultazione pubblica condotta nel 2013, da cui è emersa una forte richiesta, da parte dei consumatori, di regole più restrittive sugli alimenti bio. Proprio perché il successo del bio si basa sulla fiducia dei consumatori, la seconda motivazione avrebbe dovuto essere presa un po’ più sul serio, anzi divenire il motivo guida.
E in effetti la prima versione, quella predisposta dalla Commissione nel 2014, includeva diverse misure stringenti e migliorative, forse alcune non di facile applicazione, ma sarebbe stato opportuno proseguire su quella strada. Invece la versione approvata il 28 giugno 2017, ormai definitiva, che entrerà in vigore il 1 gennaio 2021, lascia con l’amaro in bocca e con un profondo senso di incompiuto.
Per inciso: ma a che servono tre anni e mezzo tra approvazione ed entrata in vigore? Approvazione formale e altre procedure previste dalla “lisbonizzazione”, traduzione in tutte le lingue ma soprattutto la stesura delle norme specifiche, quelle che definiscono come si coltiva, si alleva, si trasforma, si certifica… che, ci possiamo scommettere, saranno pressoché le stesse dell’attuale normativa, se non per le poche aree nuove.

I CONTENUTI DEL REGOLAMENTO

Qualche nota positiva

Dato che rivoluzione non sarà, speriamo che almeno sia evoluzione, o un primo ulteriore passo nell’evoluzione normativa che il biologico ha sempre considerato fondamentale per la propria credibilità.Qualche area produttiva nuova: rientreranno nel regolamento gli oli essenziali, la cera d’api, le resine naturali, i conigli, i cervi e poco altro. Rimarrà invece fuori, purtroppo, la ristorazione collettiva che continuerà a essere regolamentata a livello nazionale.La certificazione di gruppo entra come concetto nel regolamento, ma verosimilmente non come pratica, considerati i vincoli e le limitazioni che la renderanno difficilmente applicabile nelle realtà dove avrebbe potuto esprimere al meglio le proprie potenzialità, ad esempio nei biodistretti o nelle aree montane.

Ancora una nota positiva nella teoria: la sottolineatura della conservazione della fertilità di lungo termine come elemento fondante dell’agricoltura biologica. Peccato però, che nella pratica si diano 10 anni per l’eliminazione del fuori suolo ai Paesi che, candidamente, sinora l’hanno ritenuta ammissibile in biologico (Danimarca, Finlandia e Svezia, obiettivamente paesi la cui produzione orticola è limitata).
Tra le cose positive troviamo anche il riferimento all’attività di selezione del materiale genetico, focalizzata sulle esigenze dell’agricoltura biologica, che introduce alcune semplificazioni in deroga alla legislazione sementiera, in modo da rendere legale l’utilizzo di materiale riproduttivo eterogeneo. E infine l’innalzamento della percentuale di alimenti zootecnici che deve provenire dall’azienda o dal comprensorio: 60% per i poligastrici e 30% per i monogastrici. Ovviamente confidiamo sull’autorità di controllo, affinché non vi siano interpretazioni creative del termine “comprensorio”.
Qualcosa di positivo, ma che in Italia era già previsto, per quel che riguarda il sistema di controllo: il divieto per un operatore di essere certificato da più organismi di controllo per la stessa categoria di prodotti e una rafforzata connessione tra Autorità Pubblica e organismi da essa delegati a svolgere compiti ufficiali di controllo. Finalmente la delega sottolinea l’aspetto delle responsabilità nella tutela degli interessi della collettività. 

TANTE NOTE NEGATIVE

Passando alle note meno positive: ancora aziende miste senza troppe restrizioni, colture e allevamenti paralleli e possibilità di riconoscimento retroattivo del periodo di conversione, nonché altri 5 anni dall’entrata in vigore, di possibile utilizzo di proteine non bio (sempre e solo il 5%) nell’alimentazione dei monogastrici. Tutte occasioni perse non solo per rendere il biologico più affidabile, ma anche per consolidare il settore in tutte le sue componenti, a partire dall’agricoltura che, da punto di forza di sistema ne sta diventando l’anello debole, così come nel convenzionale. Una tematica incandescente nel dibattito è stata quella sui limiti dei residui di prodotti non ammessi, su cui le autorità italiane si sono spese non poco per innalzare l’asticella e portarla almeno a quanto attualmente previsto nel nostro Paese. Nulla da fare: ha prevalso la linea secondo la quale la Commissione andrà a definire protocolli e procedure comuni per “l’interpretazione dei risultati analitici e per la valutazione della presenza di residui per cause accidentali o tecnicamente inevitabili”. Ma visto che il PAN (Piano d‘Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei fitofarmaci) già da anni avrebbe dovuto porci al riparo dalla contaminazione accidentale e involontaria, dobbiamo concludere che ciò non è vero?
Qualcosa, ma non abbastanza, si muove sul tema importazioni da Paesi terzi: a riforma implementata le importazioni di prodotti biologici potranno seguire due soli binari: le importazioni in conformità e quelle effettuate sulla base di accordi bilaterali (non più unilaterali). 

E ADESSO CHE SUCCEDE?

Sono da poco iniziati i lavori per l’adozione degli atti applicativi (delegati o di esecuzione) che procederanno secondo il seguente calendario: 

• norme di produzione  (secondo semestre 2018)
• controlli   (primo semestre 2019)
• etichettatura  (secondo semestre 2019)
• scambi con i Paesi terzi  (primo semestre 2020)
• aspetti generali e campo di applicazione  (secondo semestre 2020). 

Siamo quindi attualmente al primo punto del calendario e nello specifico si stanno discutendo le norme sul settore avicolo e la certificazione dei baby food. Proseguiamo nell’evoluzione, ma stiamo attenti a non farci superare dalla realtà delle cose. Il biologico ha sempre guardato avanti e questa è la chiave del suo successo; preoccupa il fatto che in questi quattro anni troppi abbiano invece guardato solo e soltanto al proprio ombelico (o interesse immediato), perdendo di vista la visione di sistema, che ai miei tempi si diceva olistica, ma temo sia fuori moda.

CRISTINA MICHELONI
Esperta del settore biologico europeo, consulente Valoritalia