Intervista a 4 aziende biologiche.

Difficoltà nell’affrontare – rinunciando all’uso di pesticidi – annate in cui le cattive condizioni climatiche rischiano di compromettere il raccolto, necessità di lavorare con un personale formato ed esperto, un maggior numero di pratiche da espletare e costi per la certificazione: sono molti gli ostacoli a cui deve far fronte un produttore che sceglie il biologico.
Eppure è sempre più alto il numero di aziende che decide di intraprendere il percorso del bio.
La richiesta crescente da parte del mercato, in ambito nazionale e internazionale, pur essendo una motivazione di fondamentale importanza, non è, tuttavia, l’unica spiegazione di questa tendenza.
Abbiamo selezionato alcune aziende, diversissime tra loro per dimensioni, tipologia, luoghi di produzione e “anzianità” di certificazione, tutte certificate bio, per chiedere di raccontarci direttamente la loro esperienza.
Abbiamo parlato con Giovanni Manetti, proprietario dell’azienda nel territorio del Chianti Classico, Fontodi, che può essere definito un pioniere del bio (ha cominciato ad applicare le tecniche del biologico dal 1990); è stata poi la volta di Annalisa Botter, dell’omonima azienda vitivinicola di produzione e imbottigliamento (oltre 85 milioni di bottiglie venduti ogni anno) in cui, nel 2009, si è attuato un importantissimo processo di conversione a biologico; è venuto poi il turno della giovanissima Marianna Palella, Amministratore Delegato di Citrus, azienda di recente apertura e in fortissima espansione, impegnata nella valorizzazione e nella distribuzione di agrumi e altre tipicità ortofrutticole; l’ultima intervista a Letizia Tata, rappresentante dell’azienda Ta.Ta. Aglio, che commercializza aglio, scalogno e zenzero, che ci ha parlato dell’importanza del bio in un settore così peculiare come quello degli ortaggi da bulbo.
Ecco i loro racconti.

Quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a percorrere la strada della certificazione biologica?

Giovanni Manetti
Ho iniziato ad applicare l’agricoltura bio a Fontodi nel 1990 e ho richiesto la certificazione per gli olivi nel 2000; mentre per il vino qualche anno più tardi, nel 2005. Ho atteso a richiedere la certificazione perché non la ritenevo indispensabile, poi però accadeva che durante le presentazioni dell’azienda mi venisse posta questa domanda: <>.

Annalisa Botter
Certamente le motivazioni che ci hanno indotto a scegliere il biologico sono state in primis di ordine etico e culturale. Per anni ci siamo orientati verso criteri di produzione incentrati sulla sostenibilità ambientale e nel 2009, anno in cui abbiamo optato per un importante ampliamento dell’azienda, la conversione a biologico dell’intera produzione ci è sembrato un passo naturale.

Marianna Palella
La nostra azienda nasce tre anni fa e nasce bio. La nostra mentalità nasce con il biologico. Non ci sono state conversioni: eravamo certi sin dal principio in merito al percorso da intraprendere. Il nostro know-how, d’altra parte, è il frutto di una precedente esperienza: esisteva già un’azienda di famiglia che nel 2007, anno di inizio della crisi economica, chiuse per i mancati pagamenti da parte di alcuni soggetti della grande distribuzione. L’esperienza dei miei genitori che vi operavano, la loro adesione entusiastica ai valori del biologico e della filiera integrata, in tempi in cui non esisteva ancora una sensibilità diffusa rispetto a questi temi, hanno rappresentato un importante trampolino di lancio per la nuova esperienza di Citrus.

Letizia Tata
L’inserimento del prodotto biologico nel paniere dei prodotti proposti alla nostra clientela è stata evidentemente un’importante ed essenziale scelta strategica per offrire risposte ad un mercato sempre più esigente e diversificato. Il conseguimento della relativa certificazione, pertanto, è stato vissuto dalla TA.TA. Srl come una conditio sine qua non.

Quali sono stati i problemi e le difficoltà che si sono dovute superare per raggiungere l’obiettivo?

Giovanni Manetti
Le difficoltà che ho dovuto affrontare quando ho iniziato negli anni ’90 sono state molteplici e soprattutto di ordine tecnico: carenza di informazioni, mancanza di consulenti agronomici specializzati nel bio, carenza di prodotti per la difesa del vigneto, riorganizzazione del personale e delle macchine. Alla carenza di informazioni tecniche ho supplito facendomi raccontare dai miei operai più vecchi come gestivano il vigneto prima degli anni ’50, quando vennero introdotti i prodotti chimici di sintesi.

Annalisa Botter
L’esperienza pregressa, il fatto che la nostra struttura aziendale fosse già preparata per accogliere la conversione al bio ci hanno facilitati moltissimo e hanno reso il passaggio naturale e indolore. Eravamo già consapevoli del fatto che la produzione biologica comportasse qualche costo in più, d’altra parte siamo stati facilitati perché la nostra azienda lavora molto in territori come quelli del Sud Italia, naturalmente vocati alla produzione biologica.
Se devo pensare a un elemento critico, tuttavia, ritengo che nel biologico la maggiore problematicità sia rappresentata dalla gestione delle annate sfavorevoli, nelle quali rispettare gli standard per la certificazione può diventare un problema. Tra le nostre proprietà vi è anche un sito produttivo di circa 100 ettari, DIVICI, in cui produciamo prosecco bio: le difficoltà da affrontare un contesto simile possono essere talvolta notevoli.
È un punto su cui occorrerebbe fare una riflessione.

Marianna Palella
Non abbiamo riscontrato alcuna difficoltà. La certificazione bio è arrivata in tempi rapidi: sapevamo già come muoverci.

Letizia Tata
Disponendo di una consolidata esperienza nell’implementazione di standard di certificazione volontari (BRC, IFS, GlobalGAP), l’obiettivo della certificazione biologica è stato perseguito e conseguito senza particolari difficoltà. Preziosa e costante, tuttavia, è stata la disponibilità dell’OdC Valoritalia che ha fornito informazioni puntuali e aggiornamento tecnico, ponendosi dunque nei confronti dell’azienda non solo come organismo di controllo, ma anche come riferimento istituzionale e tecnico.

Quali sono stati gli effetti pratici/conseguenze di questa decisione?
La certificazione bio ha migliorato o peggiorato il posizionamento sul mercato dell’azienda?

Giovanni Manetti
In base alla mia esperienza il passaggio al bio non comporta necessariamente un aggravio dei costi, soprattutto passato il periodo della conversione, che è sicuramente il più critico. Quello che cambia invece è la ripartizione fra i costi di produzione (più costi di manodopera ma meno costi per l’acquisto dei prodotti di difesa). C’è un appesantimento burocratico ma senza dubbio ci sono vantaggi sul fronte dei rapporti fra l’azienda e il personale addetto al vigneto, molto più sereno e felice di lavorare in un ambiente più salubre. In merito al posizionamento della mia azienda sul mercato, c’è stata una risposta positiva e la domanda si è incrementata. Ritengo che un vino venga acquistato soprattutto per la sua qualità intrinseca, fatta di piacevolezza unita alla tipicità e alla territorialità, ma credo che l’essere bio possa rappresentare un “plus” significativo.

Annalisa Botter
Eravamo già abituati a lavorare secondo i criteri del biologico, pertanto non abbiamo riscontrato cambiamenti rilevanti nel momento in cui abbiamo attivato l’iter di certificazione che, tuttavia, ha rappresentato senz’altro un valore aggiunto.
Il nostro mercato più importante è rappresentato dai Paesi del Nord Europa in cui la cultura del bio è molto diffusa. Per noi la certificazione non rappresentava un semplice tentativo per migliorare il posizionamento dell’azienda: la spinta etico culturale che ci ha portati a compiere questa scelta era accompagnata dalla consapevolezza di lavorare in mercati in cui il bio è considerato, di fatto, una prassi.

Marianna Palella
Nessuna particolare conseguenza, se non quelle che già prevedevamo. Partivamo già dalla consapevolezza che ci sarebbero stati costi di produzione un po’ più alti, tuttavia la logica che abbiamo sposato è quella del premium price in cui il “non trattato in superficie” e il biologico rappresentano un punto di partenza.
Nella nostra azienda la sostenibilità ambientale non interessa solo la fase di produzione dei nostri agrumi: il pet e la plastica che utilizziamo, le etichette, tutto è certificato e a basso impatto ambientale. Cerchiamo di compiere scelte etiche andando oltre quanto strettamente richiesto dalla certificazione: con la vendita dei nostri prodotti sosteniamo anche la Fondazione Umberto Veronesi. In merito al posizionamento dell’azienda, dal momento che la nostra storia nasce col biologico, posso dire solamente che siamo certi di aver colto un’opportunità.

Letizia Tata
I risvolti commerciali dell’introduzione dei prodotti da agricoltura biologica nella gamma di referenze commercializzate, sono stati evidentemente positivi, sia in termini di incremento del già consolidato fatturato, che in termini di fidelizzazione della clientela più esigente.

In base all’esperienza aziendale, come valuta le prospettive del mercato del bio?
Ci sono altre certificazioni che ritiene possano in futuro acquisire una importanza crescente?

Giovanni Manetti
Ritengo che il mercato dei prodotti bio possa crescere ancora molto e velocemente. Dal punto di vista delle certificazioni penso che un tema che potrebbe interessare sempre più il consumatore possa essere quello dell’etica. È giusto che un prodotto sia fatto rispettando l’ambiente e la natura, ma lo stesso rispetto dovrebbe essere garantito anche per le persone che contribuiscono alla sua realizzazione.

Annalisa Botter
Relativamente al settore vitivinicolo, credo che il biologico sia destinato a occupare fette di mercato sempre più ampie. Partendo dall’assunto che il vino è considerato di per sé un prodotto “naturale”, sono orientata a pensare che le altre tipologie di certificazioni siano destinate a crescere, continuando a essere riconosciute, tuttavia, in contesti di nicchia.

Marianna Palella
Prevediamo che in un futuro non lontano il mercato andrà a richiedere esclusivamente prodotti biologici, mentre, a mio parere, la questione etica è destinata a diventare centrale nelle certificazioni: il Global GAP potrebbe diventare un certificato valido quanto il bio.

Letizia Tata
L’analisi del mercato di riferimento, peraltro, attesta un costante incremento della richiesta di aglio e scalogno biologico e TA.TA. SRL, pertanto, è fermamente intenzionata a sviluppare ulteriormente la commercializzazione dei suddetti prodotti anche mediante progetti di filiera, già ampiamente consolidati, con partner nazionali e comunitari.

MARILENA MELE 
Valoritalia