di FRANCESCO LIANTONIO, PRESIDENTE VALORITALIA
Non è facile trarre un giudizio completo e coerente da un anno come il 2018. Sul piano generale, l’intera viticultura italiana è stata indubbiamente condizionata da una vendemmia 2017 molto scarsa in conseguenza di una primavera a dir poco problematica, con inevitabili riflessi sull’andamento delle vendite per un consistente numero di Denominazioni. È un effetto dei cambiamenti climatici che si ripercuote direttamente sulla produzione, e quindi sui bilanci aziendali, per contrastare i quali si può fare ben poco se non adottare approcci produttivi che tengano conto di questa evoluzione. È pur vero che, a giudicare dai dati di Valoritalia oggi disponibili (che rappresenta circa il 50% della produzione nazionale delle Denominazioni di Origine), il bilancio complessivo degli imbottigliamenti dello scorso anno è risultato lievemente positivo per circa l’1%, ma sono comunque molte le Denominazioni che hanno subito una battuta di arresto, in alcuni casi anche consistente. Fortunatamente, la vendemmia 2018 ha riportato la produzione sulle medie dell’ultimo decennio, mentre il volume degli imbottigliamenti dei primi 5 mesi del 2019 mostra ancora un andamento positivo, in linea con la tendenza degli ultimi anni.
Tuttavia, nonostante le difficoltà, l’impressione che si ricava dai dati che presentiamo in questo numero del magazine è che il comparto vino, considerato nel suo complesso, è solido e capace di affrontare anche i momenti peggiori. In soli 4 anni, la crescita media delle vendite (misurata sempre dagli imbottigliamenti) è stata di poco inferiore al 10%, per un controvalore economico che ha abbondantemente superato i 6,3 miliardi di euro. Valori in costante aumento, a loro volta espressione della vivacità delle nostre imprese e dei territori in cui sono radicate, dell’incremento qualitativo dei prodotti – vera chiave di volta del successo globale dei nostri vini – e ultimo ma non meno importante, di un articolato sistema di controlli e verifiche costruito con lungimiranza negli ultimi 15 anni. Come ha recentemente dichiarato il Dr. Stefano Vaccari, alto dirigente del MIPAAFT, in occasione di un suo intervento all’ultima con- vention di Valoritalia, l’impianto normativo e operativo che sovrintende alla vitivinicultura italiana di qualità è oggi il più avanzato ed efficace al mondo, e ciò ha senza dubbio contribuito ad incrementare la qualità dei vini e il loro prestigio sul mercato.
Personalmente aggiungerei anche un’altra considerazione: la certificazione delle Denominazioni di Origine non rappresenta solo un mezzo attraverso il quale si verifica il rispetto delle norme e dei disciplinari, ma è anche, e soprattutto, uno strumento posto a garanzia degli stessi produttori e dei consumatori. Per i primi, perché sanno di muoversi in un sistema di regole comuni a tutte le imprese che utilizzano quella specifica denominazione, e grazie alle quali la competizione si svolge su un piano paritario; per i consumatori, perché quando acquistano un vino che si fregia di una Denominazione di Origine hanno la garanzia che esso rispetti standard qualitativi minimi, dei quali può avere immediata contezza. In definitiva, la missione di Valoritalia è proprio questa: fornire garanzie agli uni ed agli al- tri, attestando che le regole comuni vengano rispettate, assicurando la tracciabilità della bottiglia dal vigneto all’uscita dalla cantina e garantendo che risponda ai requisiti chimici e organolettici stabiliti dal disciplinare. Un compito delicato sotto il profilo politico-economico, ma soprattutto complesso sul piano operativo. Pensiamo solo che per fornire le garanzie a cui ho fatto cenno, nel 2018 Valoritalia ha realizzato quasi 12 mila verifiche ispettive, di cui poco meno del 70% condotte in campo e il restante 30% in cantina; sono stati analizzati più di 42 mila campioni di vino, ai quali corrispondono oltre 330 mila determinazioni chimico – analitiche.
Nel complesso, sono state rilevate 2.902 non conformità, delle quali poco meno di 300 classificate come gravi e segnalate all’ICQRF; infine, sono stati registrati e verificati oltre 350 mila movimenti di prodotto, con decine di causali diverse, per assicurare ad ogni bottiglia o lotto una completa tracciabilità documentale. Un lavoro tanto ampio quanto puntuale e minuzioso, che può essere svolto solo disponendo di una macchina organizzativa efficiente e professionale, capace di gestire 5 mila tipologie di vino appartenenti a 220 Denominazioni distribuite su buona parte del territorio nazionale, con oltre 80.000 operatori accreditati. Cifre considerevoli in assoluto, alle quali dobbiamo aggiungere le 2.800 aziende certificate con gli standard del Biologico e di SQNPI che completano il quadro sintetico delle attività di Valoritalia. Il nostro propulsore è formato da una rete di collaboratori competenti e con una robusta esperienza, senza i quali non sarebbe possibile gestire efficacemente situazioni tra loro anche molto diverse. Dobbiamo considerare che ogni Denominazione ha regole proprie che si innestano su una comune base normativa, dando luogo ad una complessità “di sistema” che genera continuamente problematiche da affrontare e risolvere.
L’ultima Assemblea dei Soci ha deliberato per Valoritalia un con- sistente rafforzamento patrimoniale (realizzato completamente con risorse proprie) che consentirà di acquisire maggiore solidità e realizzare nuovi investimenti. Tuttavia, il programma più importante che abbiamo in corso non riguarda l’assetto finanziario ed economico, quanto l’investimento sul nostro capitale umano: donne e uomini professionalmente preparati che costituiscono l’ossatura di una società che già oggi, per molti aspetti, potreb- be rappresentare un modello. Lo scorso 30 maggio Valoritalia contava 212 collaboratori assunti (ai quali devono essere aggiunti circa 1.150 collaboratori esterni) distribuiti in 36 sedi operative, con una crescita di 14 unità rispetto al 2017. Ma davvero significativo è il fatto che la sua composizione veda una esatta suddivisione tra uomini e donne non solo in termini numerici, ma anche tra le diverse mansioni e per i diversi gradi di responsabilità; inoltre, abbiamo una quasi altrettanto esatta ripartizione di genere per titolo di studio, con i laureati (uomini e donne pressoché in egual misura) che coprono una quota di poco inferiore al 50%. In questi anni la nostra politica ha privilegiato l’assunzione di giovani laureati con elevata specializzazione; politica che ha consentito alla società un efficace e qualificato rinnovo del turn over e un parallelo aumento del tasso medio di qualificazione.
Un patrimonio reale di donne e uomini che vogliamo valorizzare ulteriormente, poiché è su di esso che si fonda tutto il nostro potenziale. Per queste ragioni Valoritalia ha recentemente deciso di investire su un programma di Welfare aziendale finalizzato a promuovere il benessere dei collaboratori, sia sul posto di lavoro che al di fuori di esso. L’orientamento della spesa e le sue finalità specifiche costituiranno il risultato ultimo di un processo che partirà dal basso, dagli stessi collaboratori. Una questione sia di metodo che di sostanza, perché la soddisfazione individuale non si alimenta con decisioni che vengono dall’alto, quanto con il coinvolgimento diretto dei singoli e dei gruppi di lavoro. Non v’è dubbio che una società di servizi come Valoritalia, che vuole rafforzarsi e crescere, deve avere un personale motivato, sviluppare un positivo clima interno e alimentare il senso della comune appartenenza. L’esperienza del mondo contemporaneo dimostra – se mai ce ne fosse ancora bisogno – che il vero motore della competitività di imprese e Nazioni sta nella capacità di valorizzare le risorse umane, alimentandone il potenziale creativo e innovativo. Un assunto in cui Valoritalia crede e sul quale realizzerà i suoi maggiori investimenti, oggi come in futuro.