di DENIS PANTINI, RESPONSABILE NOMISMA WINE MONITOR
Un anno tutto sommato positivo. Guardando ai risultati raggiunti dal vino italiano nel 2018 c’è sicuramente chi può dirsi soddisfatto. L’export ha toccato il suo nuovo record, arrivando a quasi 6,2 miliardi di euro, vale a dire il 3,3% in più rispetto al 2017. Nel confronto con i diretti compe- titor, ne usciamo sostanzialmente bene. La Francia, leader assoluto con esportazioni vicine ai 9,4 miliardi di euro, ha registrato un incremento del 2,8%, mentre la Spagna si è fermata ad un +1,3%. L’unico concorrente che si è avvicinato alle performance dell’Italia è stata l’Australia (+3,2%) mentre Cile, Stati Uniti e Nuova Zelanda hanno addirittura registrato variazioni negative.
Sul fronte interno, le vendite in GDO hanno nuovamente registrato un significativo calo a volume dei vini fermi e frizzanti (-5,6%) a cui ha fatto però da contraltare un incremento delle vendite a valore dell’1,8%, determinato da un aumento del prezzo di quasi l’8%. Anche gli spumanti hanno lasciato sul campo poco più dell’1% in meno rispetto ai volumi venduti nel 2017, a fronte di una crescita a valori vicina al 2%, sebbene questa riduzione non abbia interessato gli charmat secchi (leggi Prosecco) che invece sono cresciuti su entrambi i fronti (quantità e valori). Non c’è da meravigliarsi. Che il consumo di vino in Italia sia in calo strutturale a livello quantitativo ormai lo sanno tutti. D’altronde con una popolazione che invecchia, con stili lavorativi improntati a non consumare vino durante la pausa pranzo e con i giovani che lo bevo- no principalmente in compagnia durante le uscite serali, come possiamo aspettarci una crescita dei consumi?
Piuttosto – ed è quello che sta accadendo – ci si deve attendere un riposizionamento verso l’alto di queste vendite, determinato da un aumento dei consumi fuori casa, dagli acquisti di vini Dop piuttosto che da tavola, da una predilezione verso gli spumanti (più adatti a situazioni di consumo conviviale) e alla maggior attenzione a vini biologici o sostenibili, vale a dire prodotti in grado di rispondere ad una “responsabilizzazione” dei consumatori verso la tutela e la preservazione dell’ambiente. D’altro canto, i numeri sulle vendite di vino nella Grande Distribuzione dimostrano in maniera inequivocabile queste tendenze. Tra il 2012 e il 2018, nel canale GDO, il prezzo medio dei vini venduti è cresciuto di oltre il 28%, la quota degli spumanti sul totale delle vendite è passato dal 17% al 21% mentre i consumi di vini biologici (a valori) sono più che quadruplicati. Più chiaro di così.
Sul versante dell’export le performance dei nostri vini hanno seguito direzioni differenti a seconda delle tipologie considerate. Come per i consumi interni, anche sui mercati esteri gli spumanti hanno messo a segno crescite rilevanti: +11,2%, contro un aumento inferiore all’1% dei vini fermi imbottigliati. Rispetto a cinque anni fa, quando le vendite oltre frontiera delle nostre “bollicine” pesavano per meno del 15% sul totale del vino italiano venduto all’estero, l’export di spumanti è arrivato a rappresentare un quarto del valore delle nostre esportazioni vinicole: chapeau! La minor effervescenza dimostrata dai vini fermi italiani nell’export non è solo un fat- to “congenito”, ma soprattutto non può dirsi generalizzato. Occorre innanzitutto ricordare come l’architrave delle nostre esportazioni è costituito da tali vini che incidono ancora per circa il 69% e, nell’ambito di questa cate- goria, con il 38% che fa riferimento ai fermi Dop. Se andiamo a scandagliare i risultati ottenuti da quest’ultima tipologia nella versione “rossi”, scopriamo che l’anno scorso, tra i vini fermi a Denominazione di Origine Protetta che hanno messo a segno le crescite più elevate si annoverano i rossi siciliani, il cui export è più che raddoppiato, al contrario dei rossi toscani o piemontesi che invece non hanno certo brillato per variazioni nelle vendite oltre frontiera.
Anche i rossi veneti si sono dovuti accontentare di un +1,8% rispetto al 2017 e lo stesso hanno fatto i vicini trentini. L’incremento nell’export dei rossi siciliani si inquadra in un aumento delle esportazioni che ha interessato le regioni vinicole meridionali, quasi ad evidenziare una sorta di rivincita nei confronti dei vini del Nord, da molti anni sotto i riflettori delle cronache. Non che i rapporti di forza siano cambiati, ma nel 2018 qualche piccola soddisfazione i produttori del Mezzogiorno se la sono tolta. Se infatti l’anno scorso l’export di vino dal Veneto è cresciuto “solo” del 4,3%, quello dal Piemonte del 3,5%, quello dalla Toscana del 4,4% (e con queste tre regioni abbiamo già fatto il 68% dell’export vinicolo italiano), le vendite oltre frontiera dalla Sicilia sono aumentate dell’8,7%, quelle da Puglia e Abruzzo del 6,7%. E si tenga conto che molto vino prodotto al Sud viene poi imbottigliato, commercializzato ed esportato da imprese settentrionali, sfuggendo così all’imputazione statistica nell’originaria regione di produzione.
Nel complesso, considerando gli ultimi cinque anni, l’incremento dell’export di vino dalle regioni meridionali è stato del 44% (a valori) contro un 30% di quelle del Centro e un +19% dei produttori del Nord Italia. Tra l’altro, andando ad analizzare le perfor- mance registrate nei diversi mercati esteri, si evince una sorta di controtendenza delle esportazioni di vini dal Sud rispetto al trend generale. Se infatti il 2018 ci ha consegnato una variazione dell’export italiano del +3,3% sul mercato tedesco, del +1,9% in UK e di -2,6% in Cina, negli stessi mercati le performance congiunte dei vini delle tre ci- tate regioni meridionali sono state: +16,8% in Germania, +10,7% in UK e +28,7% in Cina. Ma incrementi più elevati della media si sono registrati anche negli Stati Uniti, Russia e Giappone. Indubbiamente una più alta competitività di prezzo unita a un significativo apprezzamento da parte dei consumatori di questi mercati esteri hanno rappresentato due dei principali fattori di successo in grado di spiegare questo momento favorevole per i vini rossi del Sud Italia.
Un trend positivo che fa ancora più piacere nel caso della Cina, un mercato che ancora non arride ai nostri produttori e che nell’anno passato, dopo più di dieci anni di continua crescita, ha segnato la prima vera battuta di arresto negli acquisti di vino straniero: -2%. Uno stop che purtroppo sembra continuare in maniera pesante anche nel 2019, dato che nel primo trimestre di quest’anno il calo rispetto allo stesso periodo del 2018 – è arrivato a -16%. Tuttavia, pur a fronte di questi alti e bassi, il sentimento di lungo periodo sulla Cina resta positivo, così come le previsioni di crescita nei consumi e nell’import di vino degli altri importanti mercati internazionali, Stati Uniti in primis. La palla è in mano ai produttori italiani, quello che certamente non ci manca è l’ampiezza e la varietà dei vini offerti: si tratta solo di capire bene, come e dove venderli.