Nel 2015 la comunità internazionale, condividendo l’Agenda 2030 con i suoi 17 Obiettivi di Sostenibilità (SDGs) e gli Accordi di Parigi, mostrò chiara consapevolezza delle criticità della nostra società e dell’ambiente. L’esplicito sostegno proveniente dall’enciclica Luadato Sì di Papa Francesco costituì, nello stesso anno, un ulteriore prezioso viatico nel percorso verso la sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Come noto, l’Agenda 2030 definisce priorità, iniziative e strategie di sviluppo sostenibile da attuare a livello globale e locale. Essa rappresenta un esplicito impegno da parte di tutti i Paesi della Terra ad eliminare la povertà estrema e a promuovere la sostenibilità dello sviluppo entro il 2030 garantendo che “nessuno venga lasciato indietro”. L’Agenda costituisce un importante passo dell’umanità verso economie e società globalizzate che si impegnano a adottare modelli di sviluppo più equi e resilienti, razionalizzando l’uso delle risorse naturali. Gli Stati firmatari sono chiamati ad implementare specifici piani di azione, elaborando e monitorando, in modo periodico e congiunto, il grado di attuazione delle strategie di sostenibilità a livello locale e globale, con l’intento di affrontare le questioni economiche, sociali e ambientali in modo integrato. Tale Programma sottolinea l’importante ruolo ricoperto non solo dai Governi ma anche dai cittadini, dalle imprese, dai finanziatori, dagli investitori, dalle organizzazioni della società civile, dalle università e dagli enti di ricerca, e pone rilievo all’interfaccia scienza-politica, come strumento basato sull’evidenza, a supporto dei responsabili politici nel perseguire gli SDGs. Se la definizione dell’Agenda è stata molto impegnativa, richiedendo lunghe negoziazioni e inevitabili compromessi, è apparso chiaro fin dalla sua adozione che l’attuazione sarebbe stata ancor più difficile. In questi anni, i temi della sostenibilità sono stati posti al centro del dibattito politico, sociale, scientifico ed economico, anche per le evidenti conseguenze del cambiamento climatico sulla vita delle persone e per la gravità delle ineguaglianze delle nostre società. Le responsabilità delle attività umane e l’enormità dei costi del “non fare” sono state evidenziate in maniera certa e rigorosa da molteplici studi, e in primis dai rapporti dell’IPCC e delle Nazioni Unite. Ciononostante, la maggior parte dei Paesi appare in grave ritardo nel raggiungimento dei target relativi a ciascun SDG per il 2030. Maggior attenzione e risultati più confortanti sono rilevabili nel nostro Continente, grazie all’accento che sui temi della sostenibilità viene posto da parte dell’Unione Europea, tanto che l’annuale classifica globale di SDSN sull’implementazione dell’Agenda 2030 vede nelle prime 20 posizioni quasi esclusivamente Stati europei. Il complesso percorso verso la sostenibilità non viene certamente aiutato dalle crisi sanitarie e umanitarie di questi ultimi anni. Le difficoltà sociali ed economiche indotte dalla pandemia da Covid-19 stanno ostacolando l’attuazione delle azioni richieste a sostegno della sostenibilità dello sviluppo. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sta ponendo al centro dell’agenda di molti Paesi esigenze di difesa militare e di sicurezza negli approvvigionamenti, a discapito della cooperazione indispensabile per far fronte alle sfide comuni. È auspicio comune che tali crisi si risolvano quanto prima, con il minor numero possibile di persone, società ed ecosistemi colpiti dalle loro conseguenze. Anche in tempi così complessi, però, l’umanità non può deflettere dagli sforzi di contrastare e ridurre gli effetti del cambiamento climatico, di promuovere società più giuste e di rispettare le priorità previste dall’Agenda 2030, globalmente e localmente. Il riscaldamento della Terra, infatti, va avanti ugualmente, così come le sofferenze di chi è emarginato o non accede all’acqua, all’energia, a cibo sano e nutriente o a livelli adeguati di educazione. Le preoccupazioni e le tragedie del momento non possono farci distogliere dai pericoli che ci aspettano nel prossimo futuro se non porremmo sufficiente impegno all’Agenda che tutti i Paesi hanno condiviso nel 2015. Lo stesso COVID, del resto, ci ha ulteriormente confermato quanto è importante la relazione fra nutrizione, salute dell’individuo e dell’ambiente e che le fasce più povere sono più vulnerabili agli shock sanitari. La guerra in Ucraina, a sua volta, ci ricorda quanto sia cruciale la pace e la concordia fra i Paesi, temi centrali dell’Agenda 2030, per il benessere sociale ed economico comune. Ci evidenzia, inoltre, che se vogliamo assicurare la resilienza delle nostre società e il benessere delle persone, dobbiamo produrre e usare l’energia in maniera sostenibile e adoperare con attenzione l’acqua e il suolo. Ecco perché anche nei prossimi anni occorre rispettare con decisione l’invito del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, per un nuovo “Decennio d’Azione” (Decade of Action) che possa accelerare l’implementazione dell’Agenda 2030 attraverso: (i) una maggiore leadership, forti investimenti pubblici e privati e la messa in atto di soluzioni più efficaci nel perseguire gli SDGs a livello globale; (ii) una più elevata attenzione all’interno delle politiche, dei bilanci e dei quadri normativi dei governi e delle autorità locali, nei confronti delle fasi di transizione, indispensabili per consentire la più ampia condivisione possibile dei percorsi di sostenibilità; (iii) un maggiore attivismo della società civile e di tutti gli stakeholder (media, settore privato, sindacati, università ed enti di ricerca, finanziatori ed investitori, cittadini) che sostenga le necessarie azioni di cambiamento. Con riferimento al settore privato, le difficoltà della situazione odierna accentuano ulteriormente la nota complessità dei percorsi di sostenibilità. Allo stesso tempo, però, le imprese appaiono fortemente consapevoli che i processi di crescente allineamento dei consumatori, dei finanziatori, degli investitori e delle istituzioni nei confronti dell’Agenda 2030 sono ormai definitivamente impostati e che chi non sarà in grado di coglierne la portata subirà pesanti conseguenze in termini di competitività e opportunità di mercato. Per evitare che questo accada, occorre che le aziende rivedano i propri meccanismi operativi, partendo da una valutazione non auto-referenziale del proprio grado di allineamento all’Agenda 2030, così da integrare i principi e le tematiche della sostenibilità al proprio interno e definire con precisione le azioni e gli investimenti necessari ai nuovi scenari. Sono altresì necessari importanti investimenti pubblici nelle infrastrutture logistiche e digitali, fattori indispensabili per la transizione ecologica delle imprese. Va ricordato inoltre il ruolo cruciale della conoscenza, dell’informazione e dell’educazione. Consumatori più formati portano a consumi più responsabili e, dunque, a processi produttivi più attenti all’ambiente e alle persone. Solo creando una cultura diffusa della sostenibilità che parta da cittadini più consapevoli del proprio ruolo, si potranno avere politici, innovatori, professionisti e imprenditori in grado di trovare percorsi e soluzioni concrete per società più eque e resilienti e un Pianeta più sostenibile. Angelo Riccaboni Professore ordinario di Economia aziendale presso l’Università di Siena