Ripartire dalla qualità,
di Francesco Liantonio, Presidente Valoritalia.
Siamo in piena fase 2. Una fase dominata dall’incertezza in cui tutti si interrogano sulla sorte della nostra economia. Da sempre gli italiani si contraddistinguono per una forte inventiva, una spiccata imprenditorialità e una forza d’animo che si esprime anche durante le crisi più profonde. Una pandemia globale che ha colpito tutta la viticultura italiana, una delle certezze del nostro Paese ed una delle forze trainanti del nostro export.
Il 2019 è stato un anno record per cibi e vini italiani: le esportazioni sono cresciute del 7% sull’anno precedente toccando i 44,6 miliardi di euro (analisi della Coldiretti sulla base di dati Istat). Risultati eccezionali, che hanno permesso alla vitivinicoltura italiana di consolidare le posizioni sul mercato internazionale, oltre che rafforzare la sua funzione di traino per l’intero made in Italy. Inoltre, nel 2019 la quota di fatturato export è stata superiore a quella realizzata sul mercato interno, con vendite per circa 6,4 miliardi di euro, delle quali il 63 % realizzate nei Paesi dell’Unione Europea.
Poi è arrivato il Covid-19 e tutto il settore ha subito una brusca frenata e notevoli danni, anche se questi ultimi non si distribuiscono allo stesso modo sugli operatori della filiera. Imprenditori ed esperti della materia sono concordi nell’affermare che, fino ad oggi, la misura e la direzione dell’impatto sono dipesi da una pluralità di fattori, alcuni dei quali continueranno ad agire anche al termine della fase di emergenza. La risposta è stata condizionata innanzitutto dal posizionamento di mercato dell’azienda e della denominazione di riferimento, e di conseguenza dai canali di vendita utilizzati in prevalenza. Da un lato vi sono denominazioni e imprese storicamente posizionate nella Grande Distribuzione che hanno registrato incrementi di fatturato e aumentato quote di mercato; dall’altro lato, e con segno diametralmente opposto, vi sono quelle denominazioni e quelle imprese più radicate nei canali HoReCa, che sono state fortemente colpite dalle misure restrittive adottate in tutto il mondo, registrando una contrazione delle vendite che inevitabilmente si rifletterà sui bilanci. Un cambio epocale, per il quale è prevedibile che si verifichi un’ulteriore selezione tra le imprese.
D’altra parte, sin dalle prime settimane di crisi si è determinato un incredibile boom delle vendite online. Molte aziende si sono tempestivamente organizzate, attivando canali diretti di vendita sul proprio sito o aderendo a piattaforme già esistenti. Molte altre però, soprattutto le più piccole e meno attrezzate sul piano organizzativo e tecnologico, non sono riuscite a cogliere l’opportunità e sono rimaste indietro, subendo gli effetti di una crisi che si è dimostrata tanto più grave quanto più l’azienda era orientata verso le vendite nei canali dell’HoReCa. È probabile che ci vorrà diverso tempo prima che la ristorazione di tutti i paesi occidentali possa recuperare i livelli pre-Covid, ed è per questo sostanziale motivo che la crisi non potrà essere assorbita in breve tempo.
Dal punto di vista del consumatore, la pandemia ha accentuato modalità di consumo per così dire “più evolute”, rafforzando quelle scelte alimentari che garantiscono maggiore salubrità, oltre alla preferenza per prodotti biologici o provenienti da agricoltura sostenibile. I cibi, il vino, sono e saranno sempre più oggetto di una selezione più accurata, così come in nome degli stessi valori di sostenibilità e qualità sarà privilegiato tutto ciò che proviene dal territorio.
La richiesta di sicurezza alimentare – forse anche in virtù dell’origine animale del Covid-19 – è peraltro ancora più marcata in alcuni Paesi occidentali e persino in Cina, dove il Ministero dell’Agricoltura ha apportato una profonda revisione agli standard di macellazione degli animali destinati all’alimentazione umana.
Una tendenza che da anni era già ampiamente presente tra gli strati più evoluti del mercato e che il lockdown ha ulteriormente rafforzato. Le prospettive sono quindi chiare: le filiere produttive, agroindustriali e zootecniche, saranno chiamate ad aumentare gli sforzi per garantire la sicurezza di tutti i consumatori, ed allo stesso tempo saranno chiamate a garantire sostenibilità ambientale e sociale. Senza ombra di dubbio, la sostenibilità diventerà sempre più l’elemento distintivo della domanda e modificherà nel profondo la struttura produttiva ed economica delle nostre società. Prepararsi a questo passaggio è una condizione essenziale per continuare a fare impresa e garantire livelli soddisfacenti di reddito e occupazione.
Tuttavia, affinché questa “riconversione” si realizzi in tempi rapidi, sono necessarie due condizioni: in primo luogo che lo Stato faccia la sua parte, orientando in questa prospettiva tutte le risorse disponibili (e non solo finanziarie), e in secondo luogo, che le imprese realizzino un indispensabile salto di qualità, soprattutto sul piano dell’innovazione organizzativa e dell’approccio al mercato.
Nel futuro non sarà più sufficiente produrre vini buoni a prezzi competitivi, ma diventerà decisivo il come si produce, comprendendo in questa chiave tanto il rispetto degli equilibri ambientali, quanto i valori etici e culturali che sono impliciti in ogni rapporto di lavoro. Un cambio di paradigma positivo quanto ineluttabile.