Horizon 2020: l’agroalimentare che verrà.
Digitale, tracciabile, sostenibile.
Prima e più convintamente che una scelta politica, quella che ha portato alla strategia europea Farm to Fork – ovvero la parte agro-alimentare del Green Deal, la svolta verde dell’agricoltura – è dettata dalle richieste dei cittadini (che, in alcuni frangenti della propria giornata sono anche consumatori e, alcuni, agricoltori).
Per rimanere nel contesto italiano e dando uno sguardo ai dati più recenti, ovvero il Rapporto Coop 2021 – Economia, consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani, pubblicato il 7 settembre 2021 – nei prossimi dieci anni il cibo sarà più biologico per il 47% dei consumatori italiani, con alti valori anche per la più generica “sostenibilità”. Per alcuni significa un’agricoltura in qualche modo più “leggera” sulle risorse naturali, per altri riduzione degli imballaggi e scelta dei materiali e per altri ancora è sinonimo di origine e filiera, mentre per un piccolo gruppo significa responsabilità etica.
Emerge inoltre una propensione a remunerare la miglior qualità ambientale del cibo che si porta in tavola: l’83% dei nostri connazionali si dichiara disposto a spendere di più pur di acquistare prodotti con qualità certificata.
Tanto per sfatare alcuni luoghi comuni: in questa richiesta ci sono i cinesi, che distanziano tutti gli altri europei e, di numerose posizioni e punti percentuali, gli statunitensi. Da sottolineare il fatto che, a fronte della disponibilità a riconoscere un prezzo maggiore, vi sia la richiesta di sicurezza, che si estrinseca in un affidabile e trasparente sistema di certificazione.
I sistemi di certificazione sono chiamati in causa anche dalla strategia europea Farm 2 Fork e dal più recente Piano d’Azione Europeo per l’Agricoltura Biologica. Da un lato c’è l’esigenza di semplificare e sburocratizzare, in modo da rendere più agevole l’accesso al sistema ad agricoltori e trasformatori, soprattutto per le aziende di piccole e medie dimensioni, che sono la filigrana dell’agricoltura europea e anche del suo paesaggio. Dall’altro c’è la necessità di prevenire le frodi e dare evidenza a chi acquista, dell’affidabilità dei metodi produttivi, nonché della qualità del prodotto che ne deriva. Due esigenze non facili da conciliare ma cui possono giovare alcuni strumenti digitali con cui tutti noi abbiamo iniziato a prendere dimestichezza. Non è un caso che l’Unione Europea stia investendo molto in ricerca e innovazione in questo senso: dal progetto di vasta scala Internet Of Food and Farming 2020 (IOF2020), passando per SmartAgriHubs e una decina di altri progetti dove la tracciabilità rafforzata – attraverso sistemi diversi, dalla più nota blockchain a piattaforme interoperabili per dare continuità alla filiera dei dati – è il tema centrale.
Tanto per citarne uno cui Valoritalia partecipa: Food Safety Market, che sviluppa la piattaforma Foodakai (www.foodakai.com) con funzioni sia di quaderno di campagna che di sistema di gestione dei controlli, per renderla un punto di snodo tra i sistemi in uso da parte dei produttori, dei trasformatori e degli enti di controllo e sorveglianza. Il tutto giocando sull’interoperabilità tra sistemi diversi.
Sarebbe ragionevole utilizzare i tanti dati già disponibili in forma digitale (si pensi al sistema del biologico o alle certificazioni volontarie nel mondo del vino) per tutti gli scopi per cui sono richiesti e per cui possono essere utili, invece che reinventare la ruota (seppur digitale) a ogni diversa esigenza. Non semplice, dato che gli ostacoli non sono quasi per nulla tecnici ma essenzialmente di proprietà dei sistemi e dei dati, il che significa valore economico.
Molto si sta investendo in ricerca e innovazione per l’uso degli strumenti digitali nelle attività agricole e di allevamento. Questo non significa solo puntare sull’agricoltura di precisione, ma più semplicemente agire per una puntuale conoscenza di ciò che avviene nel campo e nella stalla. Proprio questa “puntuale conoscenza di quello che succede nel campo e nella stalla” deve essere la base anche della certificazione. Le informazioni necessarie sono le stesse, basterebbe pensare in un’ottica di sistema e non di mera esigenza del momento ed ecco che imputare dati, imparare a usare strumenti nuovi, comunicare di più al consumatore diventerebbe un fardello più lieve anche per gli agricoltori più restii.
Se guardiamo all’orizzonte del sistema agro-alimentare, di cui il vino è sempre un’avanguardia, vediamo quindi molto digitale, tracciato e bio. E se non può essere bio per tutti, è importante che sia sempre più sostenibile, attraverso un significativo e progressivo miglioramento delle pratiche, una seria documentazione degli impatti e trasparenza comunicativa in merito ai mezzi tecnici usati e alle strategie agronomiche.
Insomma, non è più tempo per vuoti slogan e sistemi autoreferenziali che giustificano lo status quo, è tempo di fare e di fare bene, di comunicare in modo trasparente quello che si fa e, per chi non ha voglia di perder tempo, di fare entrambe le cose assieme con dei sistemi digitali davvero smart.