Alberto Mazzoni, Direttore Istituto Marchigiano di Tutela Vini

L’IMT è una vera e propria eccezione nel panorama dei consorzi vitivinicoli italiani: tutela, infatti, 15 denominazioni di origine, di cui 4 DOCG, e conta ben 472 aziende associate. Un progetto nato nel 1999, ma che ha visto il proprio compimento dopo quasi un decennio, quando siamo riusciti a definire in modo completo e soddisfacente tutta la nostra strategia di promozione e valorizzazione, sia sul piano operativo che su quello economico-finanziario.

Tuttavia, non bisogna tacere sul fatto che i nostri primi dieci anni di attività sono stati costellati da difficoltà; ostacoli che non hanno però scoraggiato i fondatori dell’istituto, certi di riuscire a far valere gli obiettivi generali del progetto. Il principale tra questi consisteva, allora come oggi, nel costruire una struttura che fosse al contempo solida, competente, politicamente efficace e in grado di rappresentare al meglio le esigenze di buona parte del settore a livello regionale e sui tavoli nazionali. Un disegno che, almeno nel primo periodo, ha dovuto scontare una sorta di diffidenza da parte dei piccoli produttori, sebbene si partisse rappresentando ben sette denominazioni di origine e quindi, anche un buon numero di imprese che appartenevano proprio a quella categoria. Ai loro occhi, questo maxiconsorzio non poteva tutelare gli interessi dei “piccoli” come avrebbero desiderato: il pluralismo della rappresentanza veniva considerato non come una risorsa ma come un limite, con anche la partecipazione di ben tre territori provinciali, ognuno con le proprie peculiarità, caratteristiche, punti di forza e debolezza e, soprattutto, con i propri interessi da tutelare.

L’Italia è da sempre il territorio dei particolarismi e dei localismi, e la nostra Regione non fa eccezione; pertanto, progetti che nascono con l’ambizione di superare questi limiti – anche culturali – devono sempre scontrarsi con l’inevitabile resistenza. Non a caso abbiamo dovuto affrontare – e superare – ben 3 ricorsi al TAR promossi da alcuni produttori e dalla Camera di Commercio di Pesaro; ricorsi che contestavano proprio la grandezza del consorzio, che secondo i proponenti non sarebbe stato in grado di tutelare e rappresentare al meglio le singole individualità produttive e la molteplicità delle denominazioni.

Ciascuno dei ricorsi è stato vinto e ciò ha contribuito a rafforzare il nostro disegno, perché in quelle sedi abbiamo potuto dimostrare di aver costruito un progetto pienamente conforme alla normativa nazionale e comunitaria, rispettando tutti i criteri di indipendenza, autonomia decisionale e rappresentatività delle singole denominazioni. La costituzione dell’IMT, con tutti i suoi riferimenti giuridici, tecnici ed anche politici, sono così diventati un caso di studio nazionale, un esempio che dimostra come anche in Italia sia possibile superare efficacemente limiti che sembrano invalicabili.

Oltre alla vittoria sul piano legale c’è stata un’altra acquisizione che andrebbe sottolineata: la consapevolezza da parte delle aziende che l’Istituto Marchigiano dei Vini, chiamato così proprio per non penalizzare alcuna denominazione, ben presto avrebbe acquisito un ruolo di fondamentale importanza per lo sviluppo economico regionale.

Alla base del successo dell’IMT – e del ruolo che esso svolge – c’è il grande associazionismo che da sempre contraddistingue la regione Marche. Prima dell’avvento dell’Istituto infatti, la rappresentanza delle imprese vitivinicole era delegata all’Assivip – Associazione Interprovinciale Vini Pregiati – costituita da imprese che hanno egregiamente svolto un lavoro pionieristico di promozione delle gemme del territorio, come il Verdicchio (Jesi e Matelica), il Rosso Conero, il Maceratino e la Vernaccia di Serrapetrona. Nel tempo IMT ha gradualmente sostituito il ruolo di Assivip, favorendone la confluenza al suo interno dei soci e, in tal modo, acquisendone l’esperienza e la capacità propulsiva. Inoltre, uno dei suoi principali fattori di successo è stato l’aver coinvolto, tra i suoi 17 soci fondatori, i maggiori produttori marchigiani, la cui esperienza del mercato ha fatto da traino anche ai piccoli produttori. Lo stesso meccanismo si è ripetuto anche a livello di denominazione, dove le più grandi – come il Verdicchio dei Castelli di Jesi, il Verdicchio di Matelica e il Rosso Conero – hanno favorito in vario modo l’affermazione sul mercato delle più piccole, a partire dall’accesso alle risorse finanziarie previste dall’OCM. Nei fatti, la confluenza delle imprese vitivinicole in due sole strutture che coprono l’intero ambito regionale, IMV e CVP, ha fatto sì che piccole e grandi imprese siano diventate parte di un unico sistema, e in qualche modo siano diventate imprescindibili le une per le altre. 

Nel caso dell’IMT le piccole imprese ne costituiscono l’ossatura prevalente, rappresentando il 51% dell’intera produzione marchigiana. Viceversa, le grandi imprese hanno contribuito in modo determinante alla promozione, sul mercato interno e sugli altri mercati, del nostro sistema produttivo, fungendo da capofila su diversi progetti ai quali si sono aggregate molte piccole realtà produttive. 

È proprio questa collaborazione tra diverse tipologie di impresa ad aver consentito a IMT di divenire l’Ente di riferimento in tema di promozione del comparto vitivinicolo regionale, anche agli occhi della stampa e degli opinion leader.

Infine, l’ultimo elemento che ha contribuito in maniera determinante al successo di IMT consiste nel supporto che abbiamo sempre ottenuto dalle Organizzazioni Professionali e dalle Istituzioni Pubbliche, in particolare dalla Regione. Quest’ultima infatti, ha favorito in molti modi il processo aggregativo promosso da IMT e CVP, consapevole del fatto che una minore dispersione della rappresentanza costituisce un valore in sé, poiché consente una maggiore efficienza degli investimenti ed anche una migliore allocazione delle risorse pubbliche, come nel caso di partecipazione a bandi del PSR e OCM-VINO Promozione Paesi Terzi.

IMT e CVP costituiscono oggi gli interlocutori privilegiati delle politiche regionali in campo vitivinicolo, e non solo per quanto riguarda le funzioni di programmazione già previste dalla normativa. Per le attività di promozione e tutela delle denominazioni – ambiti per i quali l’intervento della Regione non è affatto scontato, come dimostrano le politiche minimaliste di altre Regioni italiane – la collaborazione è piena e proficua, favorita dal fatto che i nostri consorzi rappresentano la quota più rilevante dell’export regionale, avendo al proprio interno una punta di diamante come il Verdicchio dei Castelli di Jesi. Inoltre, in questi anni siamo riusciti al elevare la qualità media e l’immagine di tutte le denominazioni rappresentate.

Un processo di riqualificazione dell’offerta che ha contribuito non poco all’affermazione dei nostri vini sul mercato.

Una pluralità di denominazioni tutelate e centinaia di imprese associate costituiscono un indubbio successo, ma comportano anche una gestione complessa.

Come affermo sempre, sul palcoscenico di un teatro bisogna essere tutti attori protagonisti e non comparse. Abbiamo letteralmente “tappezzato” la regione di Denominazioni di Origine, totalmente incentrate su vitigni autoctoni. Contare ben 20 denominazioni e 1 IGT sul territorio regionale potrebbe essere interpretato come una debolezza, o come un fattore di rischio generato da una frammentazione troppo elevata. Ebbene, seppur talvolta manchi la massa critica di mercato, la nostra forza è sicuramente l’identità di prodotto, di territorio e persino culturale che queste denominazioni interpretano.

Ma la nostra forza è anche e soprattutto l’aver dato voce e sostegno a produttori e denominazioni che da soli non avrebbero potuto accedere alle risorse organizzative, finanziarie e anche amministrative che le istituzioni mettono a disposizione.

Un ultimo aspetto da sottolineare è la trasversalità di contenuti che i nostri consorzi rappresentano. Il vino è stato il collante, la fiamma pilota di uno sviluppo che ha coinvolto tutti i settori produttivi delle Regione, dall’industria al turismo, dall’enogastronomia all’artigianato, dai beni culturali ai paesaggi rurali.

Insomma, il vino è diventato il protagonista principale del brand MARCHE.