Da quanto tempo la sua azienda è certificata bio? Quale è stato il motivo di questa scelta?

La certificazione dell’azienda è piuttosto recente, la prima vendemmia bio è del 2018. La scelta di richiedere la certificazione ci è sembrata un atto dovuto dal momento che, in questa piccola realtà a conduzione familiare, l’agricoltura biologica era di fatto praticata da sempre. Si è trattato solo di “ufficializzare” qualcosa che già esisteva. 

Ha incontrato difficoltà nella conduzione dell’azienda con metodo biologico, soprattutto nel periodo di conversione?

Per quanto già detto, il periodo di conversione non ha creato alcun problema. La conduzione dell’azienda seguiva già i criteri richiesti per la certificazione: abbiamo solo atteso i tempi tecnici per le autorizzazioni. 

E per quanto riguarda le pratiche burocratiche? Rappresentano un problema? In che termini l’organismo di certificazione può fare la differenza in questa fase?

Le pratiche burocratiche comportano impegno e oneri, tuttavia rappresentano una piccola difficoltà che, siamo certi, vale la pena affrontare. La scelta dell’organismo di certificazione è importante e ho suggerito io stesso alla proprietà dell’azienda di optare per Valoritalia per positive esperienze pregresse in altre aziende presso cui svolgo il ruolo di consulente. Inoltre, l’azienda produce vino e già da tempo faceva riferimento a Valoritalia per la certificazione del regolamentato: rivolgersi allo stesso ente per la parte bio è venuto spontaneo. 

In merito al posizionamento sul mercato, la certificazione bio ha migliorato o peggiorato la situazione della sua azienda? 

Non abbiamo a disposizione uno storico per poter fornire una risposta esaustiva, tuttavia ci è bastato presentare i vini della prima vendemmia biologica alle manifestazioni di settore per riscontrare un maggior interesse dei potenziali acquirenti.

Per quale motivo, a suo parere, le Marche sono tra le prime regioni, in termini di numero di aziende, a certificare bio in Italia? 

La causa principale è senz’altro da individuare in una sensibilità diffusa verso le tematiche della sostenibilità e ciò è dovuto probabilmente anche all’importante ricambio generazionale che ha interessato molte delle aziende marchigiane negli ultimi anni. A mio parere, inoltre, la tipologia di aziende più diffusa nel territorio, medio piccole e a gestione familiare, ha un ruolo in tutto ciò: la tutela della salute di chi lavora in campo è uno dei principali motori della scelta bio e chi lavora la propria terra è ancora più motivato a evitare l’esposizione a sostanze potenzialmente nocive. 

A partire dalla sua esperienza, che futuro vede per l’agricoltura bio nelle Marche e in Italia?

Sono certo che in futuro il bio è destinato a una diffusione sempre maggiore e in ciò riveste un ruolo importante la crescente richiesta dei mercati. Non dimentichiamo che uno dei nostri mercati esteri principali, quello nord europeo, richiede già esclusivamente prodotti biologici, e questa tendenza si sta affermando praticamente ovunque (penso al Giappone, dove abbiamo alcuni tra i nostri clienti più interessanti). Per un’azienda come Cameli Irene, che al momento esporta all’estero circa il 30% del prodotto, la certificazione bio rappresenta un’opportunità irrinunciabile. 

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