SANDRA FURLAN, Responsabile progetti e sviluppo commerciale Valoritalia
l metodo di produzione biologica inizia a diffondersi nella regione Marche nel lontano 1978, ben 13 anni prima del varo del primo regolamento europeo e in anticipo anche sulle altre regioni italiane.
Quella del biologico marchigiano è una storia di grande successo che, da oltre quarant’anni, contraddistingue l’operato di aziende il cui lavoro, in agricoltura e in allevamento, è improntato alla sostanziale rinuncia della chimica in campo e al benessere animale; realtà aziendali fondate da persone che, quando il termine “bio” assumeva contorni perlopiù indefiniti, già ne avevano sposato e praticato quotidianamente i precetti essenziali come vera e propria filosofia di vita, prescindendo da meri calcoli di natura economica e di mercato, o da tendenze modaiole.
Nei primi anni Ottanta, grazie alla perseveranza di questi “pionieri”, nascono le prime cooperative bio: Alce Nero, La Terra e il Cielo, Girolomoni e altre ancora, aziende che continuano a portare in alto il biologico delle Marche, nonostante le difficoltà e gli ostacoli incontrati nel lungo percorso.
Dieci anni più tardi, nel 1990, viene approvata la prima legge regionale in materia (Legge n. 57 “Norme per l’agricoltura biologica”), tra le prime in Italia, che fissa le regole per la coltivazione biologica e stanzia incentivi per la sua realizzazione.
Il provvedimento regionale anticipa le disposizioni europee del 1991 e del 1992 (Regolamento CEE n. 2092/91 del Consiglio del 24 giugno 1991), segno evidente che anche la Regione sostiene e incentiva convintamente, fin dai quando muove i suoi primi passi, l’agricoltura bio.
Nonostante il favorevole trend di mercato che tuttora investe le produzioni biologiche, gli “antesignani” del bio marchigiano continuano a credere fermamente che le coltivazioni biologiche producano benefici per l’ambiente, arricchiscano i terreni, riducano il rischio di frane e dilavamento, e, soprattutto, offrano un prodotto migliore del convenzionale dal punto di vista nutrizionale, con implicazioni positive per la salute umana.
Per gli operatori del comparto marchigiano un consumatore ben informato è considerato il migliore alleato; così, partendo da quest’assunto e al fine di “educare” proprio il consumatore finale, anche la Regione ha contribuito con varie campagne informative (“SO QUEL CHE MANGIO – Il biologico nelle Marche”, “orti scolastici e biodiversità”, ecc.), dedicando importanti risorse all’agricoltura biologica.
Dal 2007 al 2015 la Regione Marche ha destinato alle misure agroambientali e alle altre misure del PSR (Piano di Sviluppo Rurale) relative al biologico fondi per un totale di 126.924.227 euro, riservando a tal fine il 29,5% della spesa pubblica agli operatori biologici; questa percentuale di investimento è significativa e posiziona le Marche al quarto posto solo dopo Sicilia, Calabria e Puglia, regioni con le maggiori superfici agricole bio in Italia.
Anche nella presente programmazione la Regione ha privilegiato il biologico, destinando alla Misura 11, “Agricoltura biologica”, 108 milioni di euro che rappresentano il 15,5% delle risorse del PSR 2014-20.
E questa storia di successo, portata avanti con l’impegno di operatori, Istituzioni, ma anche cittadini/consumatori, ha generato i suoi frutti: alla fine del 2017 il quadro che emerge sulla base dei dati Sinab (il Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica) è quello di una regione in prima fila nella corsa al bio, con un aumento delle superfici dell’11% rispetto all’anno precedente (+6,3% sul dato nazionale) e un’incidenza sui terreni coltivati ben al di sopra della media, con il 19,5%, contro il 15,4% italiano.
Le Marche – sempre secondo i dati aggiornati al dicembre 2017 – sono la terza regione italiana per densità di aziende biologiche (6,8%) sul totale delle imprese agricole, dietro solo a Calabria e Provincia Autonoma di Trento, posizionandosi inoltre al 7° posto nel rapporto tra SAU (Superficie Agricola Utilizzata) e pratica bio. Con un totale di oltre 87.000 ettari le Marche possiedono il 4,6 % delle superfici a biologico in Italia, e i suoi 3.050 rappresentano il 4% degli operatori bio italiani.
Le principali colture biologiche praticate sono quelle per cui la regione è vocata:
• i cereali, che nel 2017 sono stati coltivati su 17.245 ettari, caratterizzano anche il principale prodotto biologico marchigiano, la “pasta”;
• la vite, che raggiunge i 5.325 ettari, con una qualificata produzione di vini biologici;
• le colture foraggere, che occupano 23.750 ettari e rappresentano l’importanza della filiera zootecnica regionale;
• gli ortaggi, che con 4.119 ettari di superficie coltivata sono diventati la quarta coltura regionale.
Per quanto riguarda, invece, la zootecnia biologica tradizionale, un’annotazione particolare riguarda il settore avicolo marchigiano.
Nei due filoni “uova” (Monaldi a Petritoli – Fermo) e “carne” (Fileni a Cingoli – Macerata), si sono sviluppate iniziative di rilevanza nazionale che hanno permesso di diffondere, mediante il contratto di “soccida”, gli allevamenti su tutto il territorio regionale. Anche Valoritalia da alcuni anni certifica il biologico, e nelle Marche le aziende che scelgono il know-how della società di certificazione crescono sempre più. Abbiamo selezionato alcune aziende, diverse per dimensioni, tipologia, luoghi di produzione e “anzianità” di certificazione, tutte certificate bio da Valoritalia, per chiedere direttamente loro di raccontarci la propria esperienza.