Intervista a Giorgio Savini,

Presidente Consorzio Tutela Vini Piceni

Qualità, sicurezza alimentare, eccellenza e valore aggiunto: presidente Savini, quanto è importante il sistema dei controlli per la protezione delle denominazioni di origine?

Credo che l’acquisizione e l’utilizzo di una Denominazione di Origine sia già per sé un importante e potente strumento di garanzia e quindi di certificazione. Noi produttori abbiamo stipulato una sorta di patto di fiducia con i consumatori, attenendoci alle regole di un disciplinare che gli stessi produttori si sono dati. La necessità di definire l’insieme delle regole produttive rappresenta l’oggettivazione di un patto tra imprese, una sorta di consenso al reciproco controllo. In sostanza, il disciplinare non è che uno strumento posto a garanzia dei consumatori e delle stesse imprese. Dietro ogni fascetta che apponiamo sul collo della bottiglia – piuttosto che per ogni numero di lotto – c’è un complesso sistema di verifiche che copre l’intera filiera, garantendo che quanto si afferma in etichetta corrisponda sempre al vero. 

Nel nostro sistema giuridico l’utilizzo di una Denominazione di Origine comprende pertanto un duplice livello di garanzie: in primo luogo definisce gli standard minimi che devono obbligatoriamente essere presenti nel processo produttivo; in secondo luogo ne demanda la verifica ad un soggetto terzo e indipendente, nel nostro caso Valoritalia. 

Infine, per legge le Denominazioni devono essere tutelate dai Consorzi, a loro volta sottoposti al controllo del Ministero delle Politiche Agricole. Una legge molto rigorosa perché demanda ai Consorzi compiti di natura pubblicistica; che richiede a questi ultimi adempimenti formali e sostanziali tesi a garantire la rappresentanza al suo interno di tutte le componenti della filiera; che impone la trasparenza negli atti e nei bilanci; che impone obblighi verso soci e non soci e processi decisionali trasparenti. Essere quindi una denominazione è già un’attestazione di sicurezza sotto molti punti di vista. Far parte di essa, e quindi sottoporsi al sistema volontario di controlli, rende il consumatore pienamente partecipe del processo produttivo.

Innovazione, competitività e modernizzazione logistica come si sposano con le tecniche di affinamento e la storia millenaria che si tramanda di generazione in generazione?

Il mondo del vino di per sé è un mondo in continua evoluzione. Viticoltore e cantiniere sono figure che nel tempo si sono sempre adattate alle contingenze, dapprima alle condizioni metereologiche, poi a processi produttivi mai uguali. Per produrre vino non esiste una ricetta valida in ogni epoca e in tutti i contesti da seguire alla lettera. Sebbene chi produce vino lo abbia nel DNA, sa che deve continuamente mettersi in gioco per seguire le avversità metereologiche, le innovazioni tecnologiche e non per ultimo, i cambiamenti di gusto e attitudine dei consumatori. Oggi, per il viticoltore, vi sono migliaia di input da seguire e ai quali adattarsi per non soccombere, rimanendo autentico, certo, ma mostrando una volontà di adattarsi per vincere sul mercato.

Come definirebbe oggi le aziende marchigiane operanti nel mondo vino rispetto a quelle fondatrici del Consorzio?

Il Consorzio Tutela Vini Piceni venne fondato nel 1968 a seguito del riconoscimento della prima DOC, Rosso Piceno. Al momento della sua nascita vi erano solo 9 soci e rispetto ad oggi le imprese erano profondamente diverse, per qualità dei prodotti, posizionamento sul mercato e stile di management. Nel 2002, il Consorzio è stato rifondato e ha acquisito una nuova forma, una nuova mentalità e dinamicità che certamente riflette l’evolversi dei tempi ed i passaggi generazionali. 

Attualmente al Consorzio aderiscono 49 soci tra viticoltori, produttori e imbottigliatori, tutti fortemente orientati all’innovazione ma con un forte rispetto per l’identità e le vocazioni produttive del territorio; convinti del valore di sottostare a regole condivise e di far parte di un unico sistema. In questo modo le grandi aziende hanno fatto da traino alle piccole, con il risultato di un’eccellenza capillarizzata. 

Il consumatore ha cambiato le sue abitudini e atteggiamenti. Se prima era più attento alla qualità e all’origine, oggi nota più attenzione a produzioni biologiche, alla tracciabilità e alla sostenibilità?

Abbiamo notato un vero e proprio cambiamento nei consumi del vino. Sono tantissimi i clienti che chiedono alle nostre aziende un vino più naturale, biologico, con minore ricorso ai solfiti. Una domanda che proviene in modo esplicito da enoteche e ristoranti, che riflette una più elevata sensibilità dei consumatori verso tematiche ambientali e della salute umana. Per rispondere efficacemente a questo bisogno le Marche hanno adottato politiche di riconversione produttiva orientate alla sostenibilità, ed in particolare verso il biologico e l’integrato. Il territorio del Piceno è tra le prime cinque zone d’Italia per superficie coltivata secondo il metodo dell’agricoltura biologica; quasi 2/3 delle aziende hanno intrapreso la strada del bio, puntando alla certificazione. In tal modo, il consumatore finale sa esattamente cosa sta bevendo, da dove proviene e in che modo il territorio è stato rispettato.

Più in generale, quali sono gli obiettivi di lungo periodo del Consorzio?

Il principale obiettivo del Consorzio è di promuovere la serietà dei nostri produttori. 

Il vino piceno non è un prodotto industriale, bensì creato da aziende agricole uniche, peculiari, con una pluralità di prodotti dotati di una spiccata identità. Un territorio che conta ben 4 denominazioni (Rosso Piceno DOC, Falerio DOC, Terre di Offida DOC e Offida DOCG), di cui vogliamo valorizzare l’autenticità e la cultura profonda di cui sono espressione.

BIANCA MARIA BOVE

Valoritalia